L’AI? È la fonderia del nuovo millennio e un’opportunità unica per il rilancio dell’industria
AI E MANIFATTURA
L’AI? È la fonderia del nuovo millennio e un’opportunità unica per il rilancio dell’industria
Il manifesto firmato da Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia, e Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, sull’AI nella manifattura: servono infrastrutture di calcolo sovrane e una codifica del sapere artigiano, o il Made in Italy rischia di diventare un souvenir vintage…

Il tempo degli annunci è scaduto. Il 2026 segnerà lo spartiacque definitivo tra le imprese capaci di integrare l’intelligenza artificiale nei processi produttivi e quelle destinate all’obsolescenza. Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia e già membro del consiglio esperti Mimit, insieme a Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano e ordinario di Ingegneria Economico-Gestionale, hanno presentato sulle pagine de IlSole24Ore il manifesto “AI: reMade Italy”, una proposta di politica industriale che mira a trasformare la manifattura italiana da eccellenza meccanica a potenza cognitiva.
Il paradosso del gigante meccanico
L’analisi parte da un dato importante: la manifattura vale oggi circa 1.160 miliardi di euro e rappresenta quasi il 20% del valore aggiunto industriale nazionale. È l’asset che giustifica la presenza dell’Italia nel G7. Ma il sistema produttivo vive un paradosso tecnico preoccupante: l’Italia è terza in Europa per robotica e macchinari automatizzati, ma scivola al 19esimo posto per l’adozione dell’intelligenza artificiale nell’industria. Secondo l’Eurostat solo l’8,2% delle imprese italiane utilizza l’AI, contro una media europea del 13,5%. Nelle PMI, vera ossatura del tessuto economico, la percentuale crolla al 5%.
Abbiamo insomma “tanta meccanica ma poca intelligenza”, sintetizzano gli autori. E il ritardo nell’adozione tecnologica costa al Paese oltre 2 punti di produttività ogni anno rispetto alla media UE. Il rischio concreto è che l’Italia rimanga una straordinaria fabbrica conto terzi, capace di eseguire perfettamente compiti assegnati da intelligenze situate altrove.
Le fonderie del XXI secolo e la codifica del sapere
Il cuore del manifesto risiede nella ridefinizione del concetto di fabbrica. Se il modello fordista standardizzava, l’AI amplifica la complessità e richiede una nuova materia prima: il dato. «Gli algoritmi? Sono le fonderie del XXI secolo, ma invece dell’acciaio lavorano dati che rendono più efficiente la produzione dell’acciaio stesso», si legge nel testo.
L’AI – proseguono i due nell’analisi – «è il tappo che chiude il cerchio della digital transformation, ed è pronta a far lievitare l’economia degli intangibili grazie alla loro applicazione con gli assets industriali».
Bentivogli e Noci individuano quattro pilastri per questa trasformazione, il primo dei quali è la “codifica della conoscenza”. Il patrimonio del Made in Italy si basa spesso su saperi taciti, custoditi nella manualità degli operai o nell’intuizione dei tecnici. Questo capitale umano, se non digitalizzato, diventa invisibile agli algoritmi. La sfida è trasformare l’intuizione artigiana in High Quality Data, rendendo il sapere trasmissibile e scalabile attraverso le macchine. Non serve opporre l’uomo alla macchina: l’AI agisce come agente che ottimizza i pattern esistenti, mentre l’innovazione radicale resta prerogativa umana.
L’impatto economico potenziale di questa integrazione, secondo stime proposte Google e Microsoft, è stimato in oltre 100 miliardi di PIL annuo aggiuntivo. Perdere questo treno significa mancare un’opportunità di crescita, ma soprattutto regalare quote di mercato ai competitor internazionali che stanno già ridisegnando i propri processi.
Infrastrutture sovrane e la leva finanziaria
Per passare dalla teoria alla pratica il manifesto propone interventi strutturali precisi, rifiutando la logica dei bonus a pioggia. Serve innanzitutto un “pivot indipendente”, un soggetto capace di orchestrare il cambiamento e razionalizzare l’attuale frammentazione dei centri di trasferimento tecnologico.
Sul fronte infrastrutturale la proposta è potenziare i poli HPC (High Performance Computing) di Bologna, Milano e Napoli per creare una backbone nazionale dell’AI per l’industria. Le PMI devono poter accedere a questa potenza di calcolo tramite voucher specifici, superando le barriere d’ingresso economiche. Senza data center e capacità di calcolo sovrana, la “sovranità tecnologica” resta uno slogan vuoto.
Anche la leva finanziaria deve cambiare passo. Bentivogli e Noci suggeriscono di rifinanziare Transizione 5.0, vincolando però gli incentivi a KPI misurabili di produttività e decarbonizzazione. Occorre poi favorire la creazione di fondi di Private Equity pazienti, disposti a sostenere le PMI in percorsi di trasformazione che non offrono ritorni immediati ma garantiscono la sopravvivenza a lungo termine.
Competenze e patto intergenerazionale
E poi c’è il capitale umano. La proposta include l’introduzione di “Learning accounts”, conti formazione individuali per ogni lavoratore, spendibili in percorsi certificati su AI e automazione. È necessario riformare il credito d’imposta per la formazione, rendendolo automatico per chi investe in progetti di adoption dell’AI.
Il manifesto lancia infine un assist alle nuove generazioni: le startup giovanili non dovrebbero guardare ai saturi mercati consumer, ma diventare fornitori di servizi digitali avanzati per le PMI manifatturiere. Un patto intergenerazionale dove i nativi digitali modernizzano la tradizione industriale dei padri. La conclusione del documento non lascia spazio a interpretazioni: «L’AI non è un tema da “ministero dell’innovazione”: è politica industriale. Senza manifattura, l’AI resta storytelling; senza AI, la manifattura resta passato».
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