Manovra 2026: quali sono le ultima novità sulle pensioni?

Dicembre 3, 2025 - 00:42
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Manovra 2026: quali sono le ultima novità sulle pensioni?

lentepubblica.it

Il 2026 si preannuncia come un anno cruciale per il sistema pensionistico italiano; la discussione sulla Manovra ha infatti riportato al centro del dibattito pubblico un tema che tocca milioni di lavoratori: l’età di uscita dal lavoro e le modalità con cui accedervi.


Tra norme che cambiano, misure che potrebbero scomparire e qualche certezza sugli aumenti degli assegni, il quadro che si delinea nella Legge di Bilancio promette trasformazioni profonde.

Innalzamento dell’età pensionabile

La novità più rilevante riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile a partire dal 2027. Non si tratta di una scelta politica del governo in carica, ma dell’applicazione di un meccanismo introdotto dalla riforma Fornero: ogni due anni l’Istat calcola la variazione della speranza di vita dei 65enni e, se questa aumenta, si allungano anche i requisiti anagrafici per accedere alla pensione. Un meccanismo che dovrà essere ratificato nella manovra di quest’anno ma che, come abbiamo anticipato, entrerà in vigore solo l’anno prossimo.

Poiché per il prossimo biennio l’istituto nazionale di statistica ha certificato un incremento di tre mesi, dal 2027 chi vorrà ritirarsi dovrà fare i conti con soglie leggermente più elevate. L’incremento non entrerà in vigore subito, ma il suo impatto sarà generalizzato e interesserà quasi tutti i lavoratori, ad eccezione di poche categorie tutelate da normative specifiche.

Questo adeguamento arriva dopo tre cicli consecutivi privi di aumenti, condizione dovuta soprattutto alla riduzione della longevità media registrata durante e dopo l’emergenza sanitaria. Il ritorno a un trend di crescita della vita media riattiva però il meccanismo di aggiornamento automatico e obbliga a un nuovo adattamento del sistema.

Pensione anticipata

Parallelamente, il panorama delle forme di pensionamento anticipato è destinato a subire una significativa revisione.

Opzione Donna

La misura Opzione Donna, che negli anni ha permesso a molte lavoratrici con carriere discontinue di ritirarsi prima, potrebbe definitivamente sparire. Un emendamento volto a ripristinarla e ampliarla è stato bloccato in Senato per mancanza di coperture finanziarie, lasciando ben poche possibilità di sopravvivenza allo strumento a partire dal 2026. Negli ultimi anni il numero delle beneficiarie era già drasticamente calato a causa dell’irrigidimento dei requisiti: una platea ridotta, ma che trovava nella misura una risposta concreta alle difficoltà professionali di tante donne impegnate tra lavoro, maternità, assistenza familiare e periodi di inattività.

Quota 103

Destino incerto anche per Quota 103, che attualmente consente l’uscita con almeno 62 anni e 41 anni di contributi, ma con il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. La misura non compare tra quelle già confermate per il 2026, circostanza che lascia presagire un possibile stop. In Parlamento non mancano però proposte per mantenerla, segno che il confronto politico è tutt’altro che concluso. Una sua eventuale proroga offrirebbe una valvola di sfogo ai lavoratori con carriere particolarmente lunghe, che altrimenti dovrebbero attendere requisiti più stringenti. Molto dipenderà dalle risorse che il governo deciderà di destinare alla previdenza e dal compromesso che emergerà dalla trattativa sugli emendamenti.

Ape Sociale

L’unico strumento che sembra destinato a proseguire senza interruzioni è l’Ape Sociale, prorogata di anno in anno sin dal 2017. Questa possibilità di anticipo, riservata a chi svolge mansioni gravose, assiste familiari con disabilità o ha perso il lavoro, permette di accedere a una forma di accompagnamento fino all’età pensionabile a partire dai 63 anni e cinque mesi, a fronte di almeno 30 o 36 anni di contributi. Pur non trattandosi di una misura ampiamente diffusa, ha rappresentato una risposta concreta per circa 20.000 persone, confermandosi un sostegno utile per categorie deboli o in difficoltà.

Le soglie standard per la maggior parte dei lavoratori

Per la maggior parte dei lavoratori, tuttavia, l’orizzonte rimane quello fissato dalla riforma Fornero: pensione di vecchiaia a 67 anni o anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne). Ed è proprio su queste soglie che si concentrano molti degli emendamenti in discussione alla Camera e al Senato. Nel cantiere previdenziale avviato con la Manovra, diverse proposte puntano a sospendere temporaneamente l’aumento dell’età pensionabile o a rivedere i criteri di accesso alle varie prestazioni. Si tratta di tentativi di intervenire in un ambito che da anni rappresenta uno dei nodi più complessi della finanza pubblica, sia per i costi elevati sia per l’impatto sociale delle scelte da compiere.

L’unica certezza che riguarda tutti: la rivalutazione degli assegni per il 2026

Se sul fronte delle regole restano molte incognite, vi è invece una certezza che riguarda tutti: la rivalutazione degli assegni per il 2026. Il Ministero dell’Economia ha fissato l’indice provvisorio di perequazione all’1,4%, calcolato sulla base dell’inflazione registrata dall’Istat. Questo adeguamento porta la pensione minima a 619,8 euro mensili, somma che include sia la rivalutazione ordinaria sia l’incremento straordinario dell’1,3% previsto dalla precedente Manovra. L’assegno sociale, invece, salirà a 545 euro.

La rivalutazione non si applica in modo uniforme, ma per fasce di importo, secondo un sistema simile agli scaglioni fiscali. Le pensioni fino a quattro volte il minimo – pari a 2.413,6 euro lordi – ricevono l’adeguamento pieno del 100%. La fascia successiva, compresa tra quattro e cinque volte il minimo, beneficia del 90% dell’indice, ottenendo quindi un incremento dell’1,26%. Gli assegni di importo superiore vengono rivalutati al 75%, corrispondente a un aumento dell’1,05%.

Il risultato finale è un incremento concreto degli importi. Alcuni esempi aiutano a comprendere l’impatto della perequazione:

  • una pensione da 1.000 euro salirà a 1.014 euro, con un aumento annuo di circa 182 euro;
  • un assegno da 1.500 euro raggiungerà 1.521 euro;
  • una pensione di 2.000 euro arriverà a 2.028 euro;
  • un importo di 3.000 euro mensili salirà a 3.041 euro, grazie al meccanismo che applica percentuali diverse alle singole fasce;
  • una pensione da 4.000 euro si porterà a 4.051,71 euro, con un incremento annuo superiore a 670 euro.

L’indice del 1,4% è provvisorio e potrà essere ritoccato nel novembre 2026 quando sarà definita la percentuale definitiva, anche se la recente esperienza mostra che spesso i valori iniziali non si discostano in modo significativo da quelli definitivi.

Un anno di transizione?

Il 2026 si profila dunque come un anno di transizione. Da un lato si prepara il terreno a cambiamenti potenzialmente significativi nei requisiti di accesso alla pensione; dall’altro si confermano strumenti e adeguamenti che accompagnano il sistema nella sua evoluzione. Tra incertezze normative e conferme economiche, milioni di lavoratori guardano ai prossimi mesi in attesa di capire come cambierà il loro percorso verso il ritiro. L’unica certezza, al momento, è che il cantiere previdenziale italiano resterà aperto ancora a lungo.

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Redazione Redazione Eventi e News