Le radici di Dikuntu

Ottobre 30, 2025 - 01:30
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Le radici di Dikuntu

Siamo andati a conoscere Dikuntu, uno spazio e una comunità dove ognuno porta il proprio contributo e condivide i suoi talenti spontaneamente, sentendosi a casa e potendo sviluppare armoniosamente sé stesso

In quel di Cocquio Trevisago, un paesino dalle cui colline si ammira il lago di Varese, c’è un’associazione che si è data un nome evocativo: Dikuntu.

Se chiedete a Rosa Bricchi, presidente dell’associazione, cosa significhi, vi spiegherà come questa parola inventata (anche se esiste un termine simile in un dialetto africano – ndr) abbia un forte legame con la terra, con le radici e richiami madre natura.

Infatti, Dikuntu odv è a tutti gli effetti una comunità che supporta l’agricoltura (Csa). Bricchi questo richiamo l’ha sentito forte, dopo una vita in grandi città e con mansioni di lavoro anche all’estero.

Così, si è trasferita a Cocquio dove i nonni avevano dato vita alla casa di campagna e da ingegnera si è trasformata, dividendosi tra la famiglia naturale e quella allargata fatta di soci, ma anche di migranti che qui hanno trovato lavoro.

Quando siamo andati nel campo di Besozzo – gestito in comodato d’uso – c’erano tanti volontari: Emanuela, Susie, Silvana e Tiziano, Massimo, Nicoletta, Roberto che lavoravano con i due ragazzi del Mali, Ansoura e Ibrahim, messi in regola dall’associazione. Una sinergia propria di un orto sinergico.

Siamo una settantina di soci” racconta Bricchi. Il lavoro dei campi produce cassette di verdura vendute in una sorta di Gas: “al momento siamo a circa 40 cassette alla settimana, ma il target sarebbe una cinquantina, per coprire i costi di base“.

Nelle cassette prodotti esclusivamente stagionali, con qualche velleità come un piccolo test di coltivazione di arachidi.

E poi c’è l’asilo: anche questo in comodato d’uso. Un bel modo per ridare vita a spazi che ormai non hanno più bambini da accogliere (a Cocquio di tre scuole materne ne è attiva solo una).

La palazzina ha un centinaio d’anni e trasuda ricordi, a cominciare da una targa in marmo con i nomi di tutti i benefattori dello scorso secolo. Ora c’è bisogno di nuovi benefattori perché l’ex asilo deve essere restaurato e rigenerato per essere pronto a ospitare gruppi e attività sociali e creative.

Il sogno di Rosa Bricchi è quello di “realizzare uno spazio e una comunità dove ognuno porti il proprio contributo e condivida i suoi talenti in maniera totalmente spontanea, un luogo intergenerazionale dove ognuno si sente a casa e può sviluppare armoniosamente se stesso“.

Qualcosa si fa già: danza terapia, pomeriggi di produzione di ceramiche raku, laboratori di fermentazione e produzione di saponi e olii essenziali. Dikuntu partecipa occasionalmente a mercatini per raccolte fondi e “a volte ci chiamano per interventi in tavole rotonde o per portare la nostra esperienza in altri eventi sociali; abbiamo fatto proiezioni di film su tema sociale (agricoltura, migrazioni) e organizzato conferenze su temi ambientali“.

Chiosa Bricchi, che ha anche un sogno allargato: “che in ogni comune ci sia un proprio Dikuntu con un orto sociale, che dia lavoro a chi ne ha bisogno e verdura sana e a km 0 a tutti“.

Il modello è sempre quello del comodato d’uso, compromesso equilibrato per rendere l’agricoltura uno strumento di inclusione sociale. Questa realtà ci è piaciuta così tanto che stiamo diventando loro soci, per mettere anche noi le mani in terra.

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