Le Regioni del Nord lanciano l’allarme: questa mobilità sanitaria è insostenibile
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Un’analisi sul fenomeno della mobilità sanitaria che diventa con il passare del tempo sempre più critico: le Regioni del Nord lamentano una crescente difficoltà nel gestirla. Focus a cura di Fabio Ascenzi.
Mi è già capitato di intervenire sull’odioso fenomeno della cosiddetta migrazione sanitaria, per cui milioni di cittadini italiani, soprattutto meridionali, sono costretti a spostarsi in altre Regioni per accedere alle cure.
Ne ho evidenziato spesso l’ingiustizia sociale, nonché la perversità di una dinamica che, invece di concentrare maggiori risorse sui territori in difficoltà, continua a rimpinguare le casse di quelli più ricchi e delle strutture private.
Ma da qualche giorno la notizia è un’altra, e fa scalpore, perché sono proprio i Presidenti del Nord a lamentare l’insostenibilità di un sistema che, così com’è, rischia di scoppiargli tra le mani. Ovviamente la preoccupazione origina da osservazioni differenti. Vediamole.
Anche le ricche Regioni del Nord stanno andando in affanno
Il primo a lanciare l’allarme è stato Michele de Pascale, Presidente dell’Emilia-Romagna, dicendo che non ce la fanno più a soddisfare l’enorme pressione dei cittadini provenienti da altre Regioni. Le richieste, infatti, non sono solo sull’alta prestazione, che si ritiene giusto garantire, ma soprattutto su prestazioni standard, che con un piccolo supporto potrebbero essere svolte autonomamente dalle strutture di provenienza. Tra l’altro questa situazione sta intasando il sistema, facendo aumentare i tempi di attesa per i cittadini regionali.
I dati riportati nell’ultimo Rapporto GIMBE sembrano confermare questa tendenza.
Nel 2022 oltre due terzi del valore complessivo della mobilità sanitaria (69.9%) è stato relativo a ricoveri ospedalieri (ordinari e day hospital) e solo il 15.9% a prestazioni di specialistica ambulatoriale. Rilevante pure il valore della somministrazione diretta di farmaci (9.3%), mentre le altre quattro categorie di prestazioni (farmaceutica, trasporti con elisoccorso ed ambulanza, medicina generale e cure termali) hanno inciso complessivamente per il 4.9%.
Secondo il Presidente lombardo Attilio Fontana il problema da loro è ancora maggiore; se non si modifica il modello i soldi saranno sempre insufficienti, poiché i rimborsi risultano più bassi delle spese effettivamente sostenute.
Queste denunce aprono un diverso punto di vista sul fenomeno.
I numeri aggiornati della mobilità sanitaria
Ancora una volta ci tornano utili gli studi GIMBE per avere un quadro della situazione.
Nel periodo corrispondente al riparto del Fondo Sanitario Nazionale 2012-2024, ben 14 Regioni hanno accumulato un saldo negativo, sommando un totale di 19.03 miliardi di euro, di cui 14.55 mld concentrati nel Mezzogiorno.
Ai primi tre posti per saldo positivo si collocano Lombardia (+7.32 mld), Emilia-Romagna (+4.61 mld) e Veneto (+1.73 mld); mentre tutte al Centro-Sud le Regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo di euro: Campania (-3.69 mld), Calabria (-3,27 mld), Lazio (-2.73 mld), Sicilia (-2.59 mld), Puglia (-2.33 mld) e Abruzzo (-1.12 mld).
Nel 2022, ultimo anno contabilizzato nel riparto 2024 del FSN, il valore della mobilità sanitaria è risultato pari a 5.04 miliardi di euro, il livello più elevato dal 2010, con un incremento del 18.6% rispetto al 2021.
Chi ci guadagna e chi ci perde
A spiccare per mobilità attiva sono Lombardia (22.8%), Emilia-Romagna (17.1%) e Veneto (10.7%); per quella passiva Lazio (11.8%), Campania (9.6%) e Lombardia (8.9%).
Il grafico che segue suddivide le Regioni in sei categorie, classificate in base all’entità e al segno (positivo/negativo) del saldo 2022 (clicca sull’immagine per ingrandire).
È una visione plastica: quelle con saldo positivo rilevante sono concentrate tutte al Nord, mentre quelle negativo rilevante tutte nel Mezzogiorno (sola eccezione del Lazio).
Ma il sistema sta implodendo per tutti
Ora però, dopo aver fatto di tutto per accaparrarsi nuovi clienti, sono proprio le Regioni che incassano questi enormi saldi positivi a tirare il freno. Si dicono preoccupate, guarda un po’, dai ritardi e dall’entità dei rimborsi; nonché per i numerosi problemi subiti dai cittadini residenti a causa di questo sovraffollamento.
Per mio conto, preferisco sottolineare ancora le disparità create da un sistema così perverso, capace di scardinare alle radici quel principio di uguaglianza sostanziale posto alla base della nostra Costituzione, secondo cui la tutela della salute dovrebbe essere un diritto garantito uguale sull’intero territorio nazionale.
Lo afferma anche il ministro della Salute Orazio Schillaci: «Il fatto che ci siano persone costrette a salire su un treno e a spostarsi per curarsi è una sconfitta per l’intera nazione, è l’ammissione che lo Stato ha rinunciato a garantire l’uguaglianza dei diritti. Certo servono più risorse, ma se poi vengono spese male, lasciate nei cassetti o dirottate a coprire i buchi di bilancio, a che serve?».
Bene, perfettamente d’accordo. Ne facciamo memoria per i prossimi mesi, quando il Parlamento tornerà a discutere dell’autonomia differenziata.
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