Il ribasso negli appalti non si può domare: la concorrenza non ammette tetti artificiali
lentepubblica.it
Il TAR Piemonte, Sezione I, con la sentenza n. 1368 del 2025, ha confermato un principio che sembrava ormai scontato ma che la prassi amministrativa continua a ignorare: è radicalmente illegittima la clausola della lex specialis che fissa un limite massimo al ribasso economico. Focus a cura del Dott. Luca Leccisotti.
Una tale previsione non rappresenta esercizio di discrezionalità tecnica della stazione appaltante, ma una violazione diretta della normativa nazionale e unionale in materia di libera concorrenza e libertà di iniziativa economica.
La controversia
Il caso nasce da una procedura di affidamento nella quale il disciplinare prevedeva espressamente un “limite inderogabile al ribasso”, ponendo una soglia oltre la quale le offerte sarebbero state automaticamente escluse. Il ricorrente, secondo classificato, contestava tale clausola ritenendola lesiva del principio di concorrenza e del diritto di ciascun operatore di formulare la propria proposta economica in base alla struttura organizzativa e ai costi effettivi d’impresa.
La difesa della stazione appaltante si è rifugiata nella discrezionalità amministrativa, sostenendo che la misura fosse funzionale a garantire la sostenibilità delle offerte. Argomento respinto senza esitazioni dal giudice amministrativo, che ha ricordato come la valutazione di congruità economica sia affidata, per legge, al subprocedimento di verifica dell’anomalia, e non possa essere anticipata surrettiziamente attraverso limiti tabellari fissati ex ante.
Ribasso economico negli appalti: la concorrenza non ammette tetti artificiali
Il principio espresso dal TAR è limpido: l’amministrazione non può sostituire al mercato un giudizio preventivo di equilibrio economico, poiché ciò altera la logica concorrenziale su cui si fonda l’evidenza pubblica. L’articolo 110 del d.lgs. 36/2023 stabilisce in modo tassativo che la verifica dell’anomalia si svolge solo all’esito delle offerte, attraverso un procedimento tecnico di contraddittorio. Fissare a monte una soglia massima di ribasso significa sostituire la valutazione concreta e motivata con un divieto aprioristico, che neutralizza l’elemento economico e svuota di contenuto la competizione.
Il giudice piemontese richiama espressamente la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 19 luglio 2016, n. 2912), secondo cui l’introduzione di un tetto al ribasso “comprimesse illegittimamente la libertà degli operatori di esprimere un’offerta calibrata sulle proprie capacità organizzative e imprenditoriali, pregiudicando, sino ad annullarlo, il confronto concorrenziale sull’elemento prezzo”. In altre parole, la clausola che pretende di “governare” il ribasso finisce per sopprimere la concorrenza, privando l’amministrazione del principale strumento di efficientamento della spesa pubblica.
Le pronunce dell’ANAC che rinsaldano l’orientamento del TAR
A corroborare l’orientamento del TAR si aggiungono due pronunce significative dell’ANAC, che già nel 2018 (delibera n. 610) e nel 2022 (delibera n. 278) avevano stigmatizzato l’uso di soglie di ribasso predefinite. L’Autorità aveva chiarito che la fissazione di un limite percentuale massimo al ribasso “non solo annulla la concorrenza sull’elemento prezzo, ma anticipa indebitamente la valutazione di congruità dell’offerta”, violando il principio di economicità e il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La sostenibilità economica deve essere accertata caso per caso, non presunta in astratto attraverso la manipolazione delle regole di gara.
Il TAR Piemonte, nel disporre l’annullamento integrale della procedura e del contratto già stipulato, sottolinea un ulteriore profilo: la lesione del principio di proporzionalità. Imporre un limite fisso al ribasso significa assimilare indiscriminatamente tutte le offerte aggressive a offerte anomale, eludendo la verifica concreta delle condizioni di esecuzione. È, in sostanza, una presunzione assoluta di irragionevolezza economica, che il nostro ordinamento non conosce.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici ha voluto ridare centralità alla discrezionalità tecnica del RUP, ma in un contesto di responsabilità e proporzionalità, non di arbitrio. L’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 36/2023 ribadisce che la concorrenza costituisce principio fondamentale e che ogni compressione deve essere giustificata da un interesse pubblico concreto e proporzionato. Fissare limiti economici generalizzati equivale, invece, a un’ingerenza ingiustificata nella libertà imprenditoriale, che finisce per alterare la natura stessa dell’appalto pubblico, da procedura comparativa a negoziazione amministrativamente controllata.
Gli obiettivi e le motivazioni dei giudici
La decisione piemontese offre anche un’importante lezione metodologica. La sostenibilità dell’offerta non è un presupposto ex ante ma un risultato da verificare ex post, attraverso gli strumenti istruttori messi a disposizione dal Codice. L’amministrazione dispone di un arsenale normativo sufficiente – dal subprocedimento di verifica dell’anomalia alle clausole di revisione prezzi e agli obblighi di tracciabilità – per garantire l’equilibrio contrattuale senza bisogno di introdurre divieti preventivi. Ogni altra soluzione rappresenta un’inammissibile scorciatoia burocratica, destinata a essere travolta in sede contenziosa.
Dal punto di vista operativo, la pronuncia deve indurre le stazioni appaltanti a un maggiore rigore nella redazione dei disciplinari. L’individuazione della base d’asta e dei criteri di aggiudicazione è espressione di discrezionalità tecnica, ma il limite al ribasso esula da tale ambito: esso non è uno strumento di regolazione del mercato, bensì una violazione della concorrenza. È compito del RUP assicurare l’equilibrio tra qualità e prezzo attraverso la ponderazione dei punteggi e la corretta applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non mediante l’imposizione di limiti rigidi alla libertà di offerta.
L’impatto della sentenza
In definitiva, il messaggio che emerge dalla sentenza è chiaro: il mercato non può essere “normalizzato” per via regolamentare. Il diritto degli appalti, in quanto strumento di politica economica, vive di libertà controllata, non di pianificazione amministrativa dei prezzi. Ogni tentativo di domare la concorrenza attraverso tetti o soglie predefinite è destinato a collidere con i principi fondanti del sistema, nazionali ed europei, e a produrre l’effetto opposto a quello desiderato: paralizzare l’efficienza e generare contenzioso.
L’amministrazione che teme il ribasso non deve vietarlo, ma governarlo attraverso il procedimento di verifica, nella consapevolezza che la trasparenza e la responsabilità sono le vere garanzie dell’interesse pubblico, non la diffidenza verso il mercato.
The post Il ribasso negli appalti non si può domare: la concorrenza non ammette tetti artificiali appeared first on lentepubblica.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




