Lezioni dall’Estonia su come affrontare le minacce esistenziali

Agosto 30, 2025 - 20:30
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Lezioni dall’Estonia su come affrontare le minacce esistenziali

Quando Kaja Kallas, da piccola, era ammalata e non poteva andare a scuola, con i genitori al lavoro a lei badava la nonna. L’anziana incantava la bambina con i ricordi del breve periodo di indipendenza dell’Estonia prima della Seconda guerra mondiale. In gioventù, raccontava, un comandante della marina finlandese l’aveva portata fino a Hull, un porto industriale e peschereccio sulla costa orientale della Gran Bretagna. Per una bambina che viveva nell’Estonia occupata dai sovietici ormai da quarant’anni, separata dall’Occidente dalla doppia barriera della cortina di ferro e del filo spinato dell’URSS, l’idea di visitare l’East Yorkshire appariva incredibilmente esotica. «Dicevo a mia nonna: “Non raccontarmi queste favole”», ricorda Kallas.

Le storie dell’altro lato della famiglia apparivano meno fantasiose. Nel 1949, la madre e la nonna materna erano state trascinate fuori di casa durante un’improvvisa ondata di deportazioni nota come operazione Priboj (Maremoto). Nel giro di due giorni, i soldati e le forze di sicurezza sovietiche prelevarono 20.480 estoni e li ammassarono in diciannove treni sgangherati diretti in Siberia. Più di tre quarti dei deportati erano donne e bambini; la madre di Kallas all’epoca era una neonata di sei mesi. Circa uno su venti morì in prigionia. «Presto sarà notte», cantavano le donne estoni nei campi siberiani, «tutto è tranquillo e buio / ma io non trovo pace». Una delle madri deportate, Else, scrisse nel suo diario che non sapeva se il bambino di undici mesi che aveva lasciato in Estonia fosse ancora vivo. Fu rilasciata dopo altri quindici anni, e solo nel 1969 rivide il figlio, ormai ventottenne.

«Faccio parte di una generazione fortunata, che non aveva libertà ma poi l’ha ottenuta, perciò ne comprendiamo il valore», afferma Kallas. «La generazione dei miei nonni era esattamente l’opposto: avevano tutto. Avevano libertà, avevano prosperità. Avevano tutto, e tutto gli venne tolto.»

Quando ho incontrato Kallas, all’inizio del 2024, era prima ministra di quello che, fra i paesi europei più piccoli, in vita mia avevo visto avere più successo (pochi mesi dopo sarebbe stata nominata alta rappresentante dell’Unione Europea). Da quando ha ripristinato l’indipendenza nel 1991, l’Estonia ha aumentato il PIL nominale pro capite del 2.500 per cento in poco più di una generazione, superando la Grecia, il Portogallo e persino la Polonia. Ha creato le migliori scuole del continente, per lo meno stando ai risultati dei suoi alunni nelle materie fondamentali. Il suo sistema di servizi per l’infanzia viene regolarmente preso a modello in Gran Bretagna. Il rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano, che prende in considerazione fattori quali l’aspettativa di vita, il reddito e l’istruzione, colloca il paese quasi alla pari con la Francia. Nonostante il radicato retaggio di corruzione e traffici illeciti di tutto l’ex blocco orientale, l’Estonia ha raggiunto lo stesso livello del Canada nell’indice globale di percezione della corruzione elaborato da Transparency International.

Il suo settore tecnologico fa invidia a paesi ben più grandi. In rapporto al milione e trecentomila abitanti, ha più unicorni – cioè start-up valutate oltre un miliardo di dollari al momento della quotazione in Borsa, come Bolt, Skype e Wise – di qualsiasi altra nazione europea. È stata la prima a introdurre un sistema di identificazione elettronica universale e la prima a far uso del voto digitale. La sua influenza nell’Unione Europea e nella NATO cresce di anno in anno, ed è stata la forza trainante del programma di approvvigionamento di munizioni dell’UE: un paese grande quanto San Diego che fa valere la sua ambizione su una massa di 450 milioni di persone.

Facendo un consuntivo fino all’estate del 2024, in proporzione alla sua economia l’Estonia è stata di gran lunga il donatore bilaterale più generoso nei confronti dell’Ucraina, a cominciare da una partita di missili anticarro Javelin inviata alla vigilia dell’invasione russa, per arrivare alla fornitura di obici, sistemi di difesa aerea Mistral e veicoli anfibi. Nel 2024, in occasione del ventesimo anniversario dell’adesione dei paesi baltici all’UE, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha indicato l’Estonia come esempio per gli altri membri del blocco, lodandone l’«eccezionale e impressionante» coraggio morale di fronte alla Russia e la «fenomenale… leadership digitale».

Se l’elenco trionfale di successi che i governanti estoni possono snocciolare in un batter d’occhio suona fin troppo diligente e un po’ monotono, è perché lo è. L’Estonia vorrebbe davvero essere soltanto un altro «noioso paese nordico», come disse negli anni novanta Toomas Hendrik Ilves, suo ministro degli Esteri e poi presidente. Ma le cose non stanno proprio così. Ciò che distingue l’Estonia dagli Stati nordici è un’irrefrenabile smania di solidità, un’ansia per ciò che riguarda non solo la sicurezza, ma anche la sua identità, il suo futuro e la sua esistenza.

Quest’ansia porta con sé una gran forza e capacità di adattamento. Il mondo degli anni venti del XXI secolo, con tutti gli sconvolgimenti e i pericoli a cui la maggior parte degli altri paesi occidentali fatica ancora a adattarsi, rappresenta per l’Estonia, mutatis mutandis, la realtà quotidiana da più di un secolo, dopo settecento anni di quella che molti estoni vedono come la sottomissione alle potenze straniere: i danesi, i tedeschi, gli svedesi, e più volte i russi.

Il risultato è che l’Estonia ha molto da insegnare a tutti noi, se siamo disposti ad ascoltare. Non si tratta solo di inviare una delegazione di ispettori ad ammirarne gli asili nido e le genialate digitali, per poi produrre linee guida che rimangono a prendere polvere negli archivi ministeriali. Si tratta di imparare qualcosa dalla mentalità sottostante: l’accettazione di un rischio strategicamente calcolato, l’intenso attaccamento alla libertà, e soprattutto l’idea che la difesa di una società debba andare molto oltre i bunker e le bombe.

Tratto da “Baltico” (Marsilio), di Oliver Moody, pp. 384, 22€

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