L’Unione europea lavora per superare l’unanimità

Superare il meccanismo dell’unanimità per contare di più nello scacchiere internazionale. È l’obiettivo che i ministri degli Esteri dell’Unione europea proveranno a perseguire al Gymnich di Copenaghen, l’incontro informale del 29-30 agosto organizzato dalla presidenza danese. La notizia l’ha data il Sole 24 ore in un articolo di Angelica Migliorisi.
All’ordine del giorno ci saranno i “working methods” del Consiglio Affari Esteri, vale a dire l’esplorazione di ipotesi per superare l’unanimità, che regge la Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) e spesso rallenta decisioni cruciali.
La regola del veto, nata per proteggere la sovranità nazionale, è sempre più percepita come un freno: lo si è visto sulle sanzioni contro la Russia, spesso rallentate da governi riluttanti come quello ungherese, e sulle prese di posizione sul conflitto in Medio Oriente, dove le divergenze hanno annacquato dichiarazioni comuni. «La regola del veto, nata per proteggere la sovranità nazionale, è sempre più percepita come un cappio che rallenta decisioni cruciali», scrive il Sole 24 ore.
Il quadro giuridico è chiaro: l’articolo 31 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che le decisioni della Politica estera e di sicurezza comune sono prese all’unanimità, salvo eccezioni specifiche. Il Trattato di Lisbona ha introdotto valvole di flessibilità, come l’astensione costruttiva, che permette a uno Stato di non partecipare formalmente a una decisione senza bloccare gli altri, e il freno d’emergenza, che rinvia al Consiglio europeo questioni considerate vitali per un Paese. C’è anche la possibilità, tramite l’articolo 31 paragrafo 3, di estendere la maggioranza qualificata in alcuni ambiti, ma richiede comunque consenso unanime: una porta teorica mai davvero percorsa.
La cultura dell’unanimità ha radici profonde. La crisi della sedia vuota del 1965, con Charles De Gaulle che bloccò i lavori del Consiglio per tutelare la politica agricola francese, dimostrò come il timore di perdere sovranità potesse paralizzare l’Unione. Il successivo Compromesso di Lussemburgo conferì un diritto di veto informale a ogni capitale. Con Maastricht e Amsterdam, e più tardi con il compromesso di Ioannina del 1994, la Pesc si è strutturata attorno a una negoziazione permanente che mantiene viva la regola unanimistica, creando un sistema stratificato che spesso rallenta le decisioni.
Oggi la situazione spinge verso il cambiamento. Con gli allargamenti previsti verso Ucraina, Moldavia, Georgia e Balcani occidentali, un’Unione a trenta o più membri non potrebbe più funzionare con le regole attuali: ogni nuovo ingresso moltiplicherebbe i veti, allungando i tempi decisionali già oggi insostenibili. Nel 2023, uno studio del Servizio Ricerca del Parlamento europeo ha parlato del “costo della non-Europa” in politica estera: ritardi e divisioni che indeboliscono la credibilità internazionale e offrono terreno fertile ai rivali.
La maggioranza qualificata è già norma in settori come il mercato interno, l’agricoltura, la concorrenza e le politiche ambientali: serve il cinquantacinque per cento degli Stati che rappresentino almeno il sessantacinque per cento della popolazione. Come sottolinea il Sole 24 Ore, «applicare la maggioranza qualificata alla Pesc significherebbe trasformare una cooperazione intergovernativa in un sistema più simile a una postura federale».
Le cronache confermano l’urgenza. L’ultimo pacchetto di sanzioni alla Russia ha richiesto trattative estenuanti con Slovacchia e Malta per superare i veti. Anche il maxi-pacchetto di aiuti a Kyjiv è passato solo dopo un lungo braccio di ferro. Questi casi mostrano come la regola dell’unanimità rallenti l’azione europea e dia l’impressione di esitazione a partner e avversari internazionali.
Il fronte riformatore è guidato da Germania e Francia, con l’appoggio di Italia, Spagna, Paesi Bassi e diversi Paesi nordici e baltici. All’opposto, l’Ungheria e altri Stati più piccoli difendono il veto come garanzia di legittimità interna e strumento di leva politica, temendo che la maggioranza qualificata trasformi l’Unione in una piattaforma dominata dai grandi. A Copenaghen si aprirà un confronto complesso: un primo passo verso decisioni più rapide e incisive, ma senza compromettere l’equilibrio tra sovranità nazionale e azione comune.
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