Niente giustifica la caccia: cresce la protesta contro la riforma venatoria
Cinquantacinque associazioni ambientaliste e animaliste chiedono al presidente Mattarella di bloccare l’inserimento nella legge di Bilancio di emendamenti che deregolamentano la caccia. Parallelamente, Fondazione Capellino lancia la campagna Niente giustifica la caccia
Mobilitazione contro la modifica dei regolamenti venatori: le associazioni di tutela animale e ambientale hanno scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere di intervenire contro il tentativo di inserire modifiche alla legge 157/92 sulla caccia all’interno della legge di Bilancio.
Un’iniziativa definita impropria e pericolosa, che secondo i promotori rischia di violare la Costituzione e le direttive europee sulla protezione della fauna selvatica.
La denuncia delle associazioni si concentra sugli emendamenti derivati dal disegno di legge AS 1552, attualmente in discussione al Senato. Le modifiche prevederebbero, tra le altre, la possibilità di cacciare uccelli durante la migrazione preriproduttiva e di catturare piccoli selvatici come richiami vivi.
Si tratterebbe, sostengono i firmatari, di una violazione della Direttiva Uccelli (2009/147/CE), che in passato è già costata all’Italia procedure di infrazione e condanne da parte della Corte di Giustizia europea.
Un rischio per la biodiversità e per la legalità
La lettera indirizzata a Mattarella sottolinea come la proposta contrasti con l’articolo 9 della Costituzione, che dal 2022 tutela esplicitamente ambiente e biodiversità.
Ma il problema è anche di metodo: l’inserimento di norme ambientali in una legge di natura economico-finanziaria rappresenta, per le associazioni, una distorsione del processo democratico.
Il precedente più recente risale alla legge di Bilancio 2023, che aveva introdotto modifiche analoghe alla normativa venatoria e provocato l’apertura di una nuova procedura d’infrazione europea (Infr/2023/2187).
Un segnale, affermano gli ambientalisti, che la prassi di utilizzare la manovra economica come veicolo normativo rischia di minare la credibilità internazionale dell’Italia.
Le associazioni firmatarie – tra cui Enpa, Lav, Lndc Animal Protection e Rete dei Santuari – hanno definito la proposta “lesiva e impropria, nella sostanza e nella forma“.
L’appello al capo dello Stato è quello di esercitare il proprio ruolo di garante della Costituzione, per impedire che il Parlamento approvi, tramite scorciatoie procedurali, misure in contrasto con il diritto europeo e la tutela ambientale.
Secondo le organizzazioni, la riforma rappresenta un ritorno al passato, in cui prevale la logica del favore verso le lobby venatorie a scapito della conservazione degli ecosistemi.
Niente giustifica la caccia: la campagna della Fondazione Capellino
A questa mobilitazione istituzionale si affianca la campagna Niente giustifica la caccia, promossa dalla Fondazione Capellino in collaborazione con Almo Nature. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica e i parlamentari sui rischi del Ddl 1552, che amplia i diritti dei cacciatori riducendo la tutela della fauna, delle aree naturali e della sicurezza pubblica.
Un approccio giudicato anacronistico e contrario alla volontà della maggioranza dei cittadini italiani, il 75% dei quali si dichiara contrario alla caccia, secondo recenti sondaggi.
Per sostenere l’iniziativa, la Fondazione Capellino ha diffuso uno spot televisivo nazionale che mostra il legame tra un cane e un cacciatore, terminando con il messaggio Niente giustifica la caccia.
Contestualmente, è stato lanciato un appello ai parlamentari e una petizione pubblica che ha già superato 66.000 firme, invitando i cittadini a esprimere il proprio dissenso sul sito della Fondazione, che ha organizzato anche un dibattito pubblico aperto a esperti, ambientalisti e rappresentanti del mondo venatorio, per favorire un confronto trasparente sulle diverse posizioni.
Biodiversità come bene pubblico
Il nodo politico e morale della vicenda risiede nella gestione della biodiversità come patrimonio collettivo. Le associazioni sottolineano che la fauna selvatica non appartiene a singoli interessi ma alla collettività e che l’Italia, firmataria degli accordi internazionali sulla conservazione della natura, non può consentire un arretramento normativo.
La protezione degli ecosistemi, ricordano, non è solo una questione etica ma anche economica: la perdita di biodiversità riduce la resilienza dei territori, accresce il rischio idrogeologico e compromette la capacità del Paese di adattarsi ai cambiamenti climatici.
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