Putin continua a testare i limiti politici e militari dell’Unione europea

Colpire i simboli per misurare i limiti. Infischiandosene di Trump e di coloro che credono ancora nella volontà russa di fare la pace, nella notte tra mercoledì e giovedì Vladimir Putin ha ordinato un nuovo bombardamento su Kyjiv. Secondo l’aeronautica ucraina, la Russia ha lanciato trentuno missili e quasi seicento droni. I danni hanno riguardato venti diversi punti della capitale e hanno lasciato decine di migliaia di persone senza elettricità. Mosca ha parlato di un’operazione riuscita contro obiettivi militari, ma le immagini mostrano chiaramente i palazzi residenziali distrutti e gli uffici diplomatici danneggiati. A Kyjiv il messaggio è stato letto come una risposta diretta alle pressioni diplomatiche occidentali: i negoziati restano fermi e sul campo continua a decidere la forza.
Gli ordigni russi hanno colpito due luoghi dal valore politico e culturale: la Delegazione dell’Unione europea e la sede del British Council. Nessun membro del personale europeo è rimasto ferito, ma il fatto che missili siano esplosi a pochi metri dagli uffici della sua missione in Ucraina rappresenta un salto di livello. Non è solo un attacco militare: è un segnale. Il Cremlino vuole mostrare che può colpire l’Europa attraverso i suoi simboli in Ucraina e vedere fin dove l’Unione è pronta a reagire.
A Bruxelles la reazione politica è stata immediata, ma quella militare è inesistente. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha promesso nuove sanzioni e avviato un tour di sette Paesi al confine con la Russia e la Bielorussia per ribadire sostegno politico e impegno nella difesa dei confini europei. La missione tocca Lettonia, Finlandia, Estonia, Polonia, Bulgaria, Romania e Lituania. È la più ampia iniziativa diplomatica europea dall’inizio dell’invasione e vuole mandare il messaggio che l’Unione non si lascia intimidire. Ma resta il dubbio se basti: il viaggio e le dichiarazioni non colmano il divario tra la forza militare dispiegata da Mosca e la lentezza con cui l’Europa traduce la sua solidarietà in capacità concreta.
Ci sono altri segnali preoccupanti: in Germania, lungo le rotte che portano armi e munizioni verso il fronte, le autorità segnalano voli di droni di ricognizione sospettati di essere russi. Servono a raccogliere informazioni su fornitori e trasporti. Il Cremlino nega, ma la dinamica è chiara: esplorare i margini, osservare le reazioni, adattare le mosse.
Il generale Thierry Burkhard ha spiegato in un’intervista a Politico che: «un’Europa indebolita rischia di ritrovarsi domani come un animale braccato, dopo due secoli in cui l’Occidente ha dettato il ritmo. Nel mondo di domani la solidarietà strategica tra i Paesi europei deve essere molto, molto forte. Nessun Paese europeo da solo può essere un protagonista». È un richiamo secco al fatto che senza una forza comune, unita e credibile, ogni colpo di Mosca ai simboli dell’Unione avrà un effetto politico più grande del danno materiale.
Burkhard ha spiegato che l’Europa è passata dalle guerre scelte – come quelle in Iraq o Afghanistan, condotte con tempi e modalità stabilite dall’Occidente – alle guerre imposte, in cui non c’è possibilità di scegliere se combattere o meno. L’Ucraina ne è l’esempio: se smette di resistere, scompare. È questa la realtà che l’Europa fatica a riconoscere, continuando a discutere di spese militari e di regole di bilancio mentre la Russia bombarda la capitale ucraina e sorveglia con i droni le vie di rifornimento occidentali.
Aspettando il risveglio europeo, il cuore della guerra resta nel Donbas. Come ha ricordato il Financial Times in un interessante approfondimento, la linea di città fortificate tra Kostiantynivka, Kramatorsk e Sloviansk è l’ultima barriera che impedisce ai russi di aprirsi la strada verso il Dnipro. Tutto si gioca su questo fronte: se l’esercito russo riuscisse a sfondarlo si troverebbe davanti grandi pianure, prive di centri urbani fortificati, che renderebbero molto più difficile per gli ucraini organizzare una difesa stabile. Per questo motivo Mosca cerca di accerchiare città come Pokrovsk o di minacciare Kramatorsk da più direzioni, così da logorare la resistenza e forzare una ritirata ucraina. Il governo ucraino è costretto a trasformare ogni edificio, fabbrica dismessa o deposito industriale in una posizione difensiva, scavare trincee, posare mine, mantenere linee di rifornimento. È una guerra di attrito, dove il controllo del territorio si conquista metro dopo metro.
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