Revoca illegittima di concessione di spazio pubblico: il parere del TAR Lazio

Ottobre 7, 2025 - 10:00
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Revoca illegittima di concessione di spazio pubblico: il parere del TAR Lazio

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La sez. II ter Roma del TAR Lazio, con la sentenza 30 settembre 2025 n. 16832, si pronuncia sull’illegittima revoca di una concessione di spazio pubblico (somministrazione alimenti e bevande) in violazione delle garanzie partecipative e per l’esiguità della motivazione fondata esclusivamente sull’abusività dell’occupazione di parte dello spazio (marciapiede). Focus dell’Avv. Maurizio Lucca.


Atti di ritiro

Negli atti di annullamento o ritiro la mancata comunicazione di avvio del procedimento [1] e la conseguente pretermissione della facoltà, riconosciuta ex lege in favore del destinatario del provvedimento che va ad incidere negativamente su una posizione giuridica favorevole già acquisita, di presentare documenti e memorie, rende il provvedimento viziato.

Infatti, il procedimento adottato, id est avviato e concluso, senza essere stato preceduto dalla comunicazione prevista dall’art. 7 della legge n. 241/1990, viene assunto in violazione dell’obbligo del contraddittorio: l’esercizio del potere di autotutela, in quanto espressione di una rilevante discrezionalità amministrativa è sempre soggetto all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, all’analitica motivazione delle ragioni di interesse pubblico ad esso sottese e alla ponderazione dell’interesse del privato alla stabilità della posizione acquisita, pena l’illegittimità del provvedimento al fine adottato [2].

Ne consegue che gli atti di secondo grado devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7, legge n. 241 del 1990, al fine di consentire, attraverso l’instaurazione del contraddittorio con gli interessati, una loro efficace tutela nell’ambito del procedimento amministrativo ed, al contempo, di fornire all’Amministrazione, con la rappresentazione di fatti e la proposizione di osservazioni da parte del privato, elementi di conoscenza utili o indispensabili all’esercizio del potere discrezionale, in funzione di una ponderata valutazione dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto[3].

Fatto

La parte ricorrente impugna la determinazione di revoca in autotutela (annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies, della legge n. 241/1990) della concessione per occupazione di suolo pubblico permanente per il collocamento di tavoli, sedie, ombrelloni ed elementi riscaldanti per complessivi mq. 22,75 sulla base di un’occupazione abusiva del marciapiede antistante l’esercizio sottoposto a sequestro preventivo; concessione rilasciata a distanza di pochi giorni.

In termini più lineari, al fine di allestire un dehors a servizio dell’attività di ristorazione, e in attesa del titolo, veniva occupato parte dello spazio con sedie e tavoli; in sede penale si procedeva al sequestro fondato sulla mancanza del titolo (l’occupazione dello spazio), successivamente non veniva accolto il dissequestro avendo l’Amministrazione revocato la concessione dello spazio rilasciata.

Merito

Il ricorso risulta fondato avendo la PA effettivamente violato le norme che regolano l’attività provvedimentale di secondo grado, per i seguenti motivi:

  • omessa partecipazione della parte ricorrente;
  • motivazione basata su un unico motivo relativo all’intervenuto sequestro preventivo dell’area;
  • manca una valutazione di contenuto, ossia una motivazione della obiettiva peculiarità della fattispecie, la quale poteva essere controbilanciata dalle osservazioni procedimentali non avvenute.

L’operato dell’Amministrazione non risulta legittimo in quanto, pur in presenza di un sequestro penale, l’Amministrazione aveva concesso lo spazio, sicché il sequestro penale risulta l’unico motivo della revoca in autotutela.

In effetti, se l’Amministrazione avesse concesso il termine per le osservazioni (alias, comunicazione di avvio del procedimento), l’interessato avrebbe potuto chiarire che il sequestro veniva a decadere avendo ricevuto il titolo concessorio, come di fatto avvenuto: la violazione delle garanzie procedimentali e in termini del tutto carenti, avuto riguardo agli obblighi motivazionali dell’attività amministrativa di secondo grado, rende l’atto di ritiro illegittimo (confermando, anche, che nell’atto di autotutela si deve tenere «conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati», sull’originaria illegittimità della determina), e dunque annullabile.

L’autotutela

In via generale, un provvedimento amministrativo divenuto definitivo non può essere rimesso in discussione, a meno che l’Amministrazione non ritenga – discrezionalmente – di procedervi in autotutela [4].

Alla definitività del provvedimento, invero, si ricollega l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, dovendosi escludere che il privato possa, senza limiti, riavviare il medesimo procedimento già instaurato e definitivamente concluso, potendo l’Amministrazione soltanto decidere, eventualmente e sulla base di una valutazione discrezionale, di rivedere il precedente provvedimento in presenza di determinati presupposti ed entro un termine certo (ragionevole) [5].

È noto che l’annullamento d’ufficio, a pena di illegittimità per violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e di eccesso di potere, deve accertare e adeguatamente esternare la sussistenza di un attuale e concreto interesse pubblico alla rimozione retroattiva di quell’atto di base e di quelli che ne seguono: occorre che l’atto di autotutela esprima un’adeguata ed effettiva motivazione su siffatte ragioni – diverse dal mero ripristino della legalità violata – indicando i motivi concreti che giustificano il provvedimento di autotutela [6].

Va rammentato (per completezza espositiva) che l’art. 21 nonies, comma 2, della legge cit., stabilisce che il provvedimento annullabile è passibile di convalida entro un termine ragionevole «sussistendone le ragioni di interesse pubblico», dovendo (anche in questo caso) l’Amministrazione esternare espressamente in maniera chiara circa le ragioni che l’hanno indotta, nel singolo caso concreto, a ritenere rispondente a un’esigenza di pubblico interesse quella di provvedere a conservare gli effetti del provvedimento viziato mediante l’adozione di un atto di secondo grado [7].

Sintesi

La sentenza conferma che l’art. 7 della legge n. 241 del 1990 deve essere interpretato non cedendo a suggestioni meramente formali, ma è necessario accertare che il privato sia stato messo a conoscenza delle ragioni che impongono all’Amministrazione di adottare il provvedimento, sollecitando l’apporto collaborativo o meramente difensivo dello stesso.

In questo senso, la giurisprudenza ha escluso che il principio del giusto procedimento sia violato nell’ipotesi in cui gli atti posti in essere dall’Amministrazione siano comunque conosciuti dall’interessato, aspetto del tutto avulso nel caso di specie: non si è data un’interpretazione formalistica ma prettamente sostanziale, dove l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo non deve essere osservato in maniera meccanicistica e la validità dell’azione amministrativa non è inficiata se la conoscenza dell’inizio del procedimento sia comunque intervenuta e si sia concretamente raggiunto lo scopo al quale in via generale la previa comunicazione tende [8].

In sintesi, vi è stato l’accertamento della violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, minando alla radice i principi del giusto procedimento e delle necessarie garanzie partecipative, riscontrabile quando il privato non ha ricevuto alcuna comunicazione formale di avvio del procedimento o comunque è stato posto nelle condizioni di percepire tale evenienza sotto il profilo della conoscenza.

Note

[1] La comunicazione dell’avviso di inizio del procedimento ove non sia possibile la comunicazione diretta in mani del destinatario, può essere effettuata dall’Amministrazione anche avvalendosi del servizio postale, non dovendosi necessariamente osservare il sistema di notificazione degli atti giudiziari a mezzo di ufficiale giudiziario, Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1468.

[2] Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2025, n. 7602.

[3] Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5168.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 aprile 2025, n. 3038; sez. V, 4 marzo 2025, n. 1850.

[5] TAR Sicilia, Catania, sez. II, 21 agosto 2025, n. 2550. Il provvedimento amministrativo è annullabile anche trascorsi i 12 mesi, qualora emergano dichiarazioni non veritiere fornite per ottenere l’emanazione dell’atto, Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2024, n. 2856.

[6] TAR Sicilia, Palermo, sez. V, 29 settembre 2025, n. 2115.

[7] TAR Puglia, Lecce, sez. II, 3 ottobre 2025, n. 1345.

[8] GGA, sez. Giur., 14 agosto 2025, n. 663.

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