Confindustria: manifattura Italia genera 15% del Pil del Paese
Roma, 26 nov. (askanews) – La manifattura italiana mantiene un ruolo rilevante nel contesto internazionale e per l’economia nazionale: è l’8ª al mondo e la 2ª in Europa per dimensioni (2,1% del valore aggiunto manifatturiero globale e 13% di quello europeo) e genera il 15% del PIL italiano – percentuale che raddoppia considerando l’indotto. Inoltre, realizza il 35% degli investimenti in macchinari e attrezzature e il 50% della spesa in R&S, e presenta mediamente livelli di produttività superiori rispetto agli altri settori, che le consentono di corrispondere salari più elevati rispetto a servizi (+20% nel 2024), costruzioni (+21,0%), settore pubblico (+8,3%) e totale economia (+14,5%). E’ la fotografia scattata da Confindustria, che dopo diversi anni torna a pubblicare un rapporto dedicato alla manifattura italiana.
Secondo l’analisi, la manifattura tricolore presenta un grado di diversificazione molto elevato rispetto alle altre manifatture europee, elemento che contribuisce a rafforzarne la resilienza agli shock globali. La sua composizione settoriale è rimasta relativamente stabile nell’ultimo decennio, con una specializzazione concentrata in comparti a media e bassa intensità tecnologica, che rappresentano circa il 60% del valore aggiunto manifatturiero una quota inferiore a quella della Spagna (64%) ma superiore a quella di Francia (51%) e Germania (39%). Meccanica strumentale (14% del valore aggiunto manifatturiero), prodotti in metallo (13%) e alimentare (9%) mantengono un’incidenza significativa sulla manifattura nazionale; tessile (25% del valore aggiunto settoriale europeo), abbigliamento (47%), pelletteria (50%) e mobili (20%) presentano invece un peso particolarmente elevato nel contesto europeo; metallurgia, chimica e gomma plastica sono infine i comparti con le maggiori connessioni a monte e a valle lungo le filiere produttive.
Inoltre, si legge, la manifattura italiana è caratterizzata da un’elevata apertura ai mercati internazionali e da una composizione dell’export ampiamente diversificata: nel 2023 le esportazioni hanno raggiunto il 48,2% della produzione manifatturiera e generato un surplus commerciale di circa 120 miliardi di euro, trainato soprattutto dalla meccanica strumentale. I principali settori esportatori sono meccanica (17,1% dell’export manifatturiero, media 2023-2024), tessile-abbigliamento-pelle (10,8%), alimentare e bevande (9,8%), farmaceutica (8,6%) e autoveicoli (7,3%). La farmaceutica si distingue per un incremento particolarmente significativo dell’apertura agli scambi commerciali.
Secondo lo studio di Confindustria, la manifattura è ancora orientata verso le piccole e micro imprese. Nel 2023 soltanto il 42% del valore aggiunto manifatturiero è stato generato dalle grandi imprese (250 o più addetti), a fronte del 74% in Francia e del 75% in Germania; simmetricamente, micro (fino a 9 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese mantengono un ruolo molto rilevante, con un contributo complessivo superiore al 30% del valore aggiunto, rispetto a circa il 10% in Germania e il 14% in Francia.
Questa configurazione, prosegue l’analisi, riflette sia l’elevata numerosità delle piccole e micro imprese sia la dimensione relativamente ridotta delle grandi imprese italiane. Tuttavia, è in corso una trasformazione qualitativa significativa: nell’ultimo decennio un intenso processo di selezione ha ridotto il numero di micro imprese di quasi il 12%, mentre si osserva una crescita rilevante della dimensione media tra le grandi imprese. Questa evoluzione è rilevante considerando la relazione tra dimensione d’impresa e produttività: nella manifattura italiana, a parità di tutte le altre condizioni, l’efficienza cresce in modo significativo con la dimensione d’impresa, e le imprese medie e grandi italiane mostrano livelli di produttività superiori a quelli delle omologhe tedesche, francesi e spagnole.
Il settore italiano ha peraltro consolidato negli anni un lungo processo di rafforzamento patrimoniale, con implicazioni potenzialmente positive su investimenti, resilienza e competitività. La quota di capitale proprio sul totale del passivo è aumentata dal 34,5% nel 2007 al 48,9% nel 2023, chiudendo il gap rispetto ai competitors europei. Il periodo successivo alla pandemia ha però accentuato l’eterogeneità tra le imprese, evidenziando la presenza di una quota non trascurabile di aziende ancora relativamente fragili. Il rafforzamento patrimoniale è stato determinato, almeno in parte, da una forte riduzione dell’indebitamento, diffusa in tutti i settori: lo stock di prestiti è sceso in aggregato dal 100% del valore aggiunto nel 2011 al 56% nel 2024 e, coerentemente, la quota dei prestiti bancari sul totale del passivo è scesa dal 19,5% nel 2007 al 12,3% nel 2023. La solidità finanziaria è rilevante per la produttività delle imprese manifatturiere italiane: a parità di altre condizioni, l’allentamento dei vincoli finanziari è associato ad un aumento della produttività compreso tra il 5% e il 10% in media, e l’effetto è più marcato nei settori dove il capitale intangibile ha un ruolo più rilevante.
E la manifattura italiana mantiene una propensione all’investimento superiore a quella delle principali economie europee. Tra il 2015 e il 2024, gli investimenti in capitale fisso si sono attestati in media intorno al 25% del valore aggiunto manifatturiero, un livello superiore a quello registrato in Francia (22%) e Germania (20%) e sostanzialmente in linea con la Spagna. Allo stesso tempo, però, la crescita del capitale fisico disponibile mostra una dinamica relativamente debole nel confronto internazionale, anche quando considerata in rapporto all’input di lavoro. Gli investimenti in beni materiali costituiscono storicamente la quota più rilevante degli investimenti manifatturieri: la propensione media all’investimento nell’ultimo decennio è stata del 18,1% del valore aggiunto, consolidando la distanza già esistente rispetto alla Francia (11% medio) e alla Germania (9,3%). Al contrario, per quanto in crescita nel tempo, la propensione agli investimenti in beni immateriali (15%, solo in parte inclusi negli investimenti in capitale fisso) rimane sensibilmente inferiore a quella osservata in Germania (18%) e Francia (23%), soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in proprietà intellettuale.
Le aziende del settore hanno ridotto le proprie dipendenze critiche di circa un terzo negli ultimi otto anni, soprattutto a causa del calo delle importazioni di gas dalla Russia e a una crescente diversificazione delle forniture energetiche. Nel 2023 le dipendenze manifatturiere dall’estero riguardavano 364 prodotti, per un valore di circa 26 miliardi di euro (8,7% del valore aggiunto manifatturiero), con livelli di criticità molto differenziati tra settori e fornitori. La farmaceutica presenta un elevato livello di concentrazione delle importazioni, mentre i semilavorati elettronici e le apparecchiature elettriche mostrano una forte esposizione geopolitica, con quote di fornitura dalla Cina comprese tra l’80% e il 90%. Inoltre, le importazioni critiche della farmaceutica e dell’elettronica risultano quasi interamente strategiche e ad alto contenuto tecnologico.
Infine, la manifattura italiana, dice ancora Confindustria, ha partecipato al forte calo della produzione industriale registrato nel 2023 (-2,0%) e nel 2024 (-4,0%), che ha riportato i livelli produttivi al di sotto di quelli pre-pandemia, vanificando il rimbalzo del 2021-2022. Il 2025 si è aperto con una dinamica sopra le attese: anche per effetto dell’anticipo delle esportazioni verso gli Stati Uniti in vista dell’entrata in vigore dei dazi, la produzione ha mostrato un recupero moderato nella prima metà dell’anno (+0,5% nel primo trimestre, +0,2% nel secondo), tornando però in calo nel terzo trimestre (-0,5%). (fonte immagine: Confindustria).
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