Automazione industriale: i sistemi chiusi costano alle imprese 11 milioni di dollari l’anno
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Automazione industriale: i sistemi chiusi costano alle imprese 11 milioni di dollari l’anno
Una ricerca Omdia presentata alla SPS di Norimberga da Schneider Electric rivela che i sistemi di automazione proprietari costano alle medie imprese 11,28 milioni di dollari l’anno. Rigidità hardware e frammentazione costano a queste aziende il 7,5% dei ricavi. La soluzione? Adottare soluzioni aperte e software-defined.

L’era del lock-in tecnologico, dove il fornitore dettava i tempi e i costi dell’innovazione del cliente, mostra segni di cedimento strutturale. Ammonta infatti a ben 11,28 milioni di dollari l’anno il costo delle inefficienze generate da tecnologie obsolete o proprietarie: una cifra che equivalge al 7,5% del fatturato annuale di un’azienda manifatturiera di medie dimensioni dispersa a causa di sistemi di automazione rigidi e proprietari. Il dato emerge dalla ricerca globale presentata da Schneider Electric il 26 novembre in occasione della fiera SPS di Norimberga.
L’indagine, stata condotta dalla società di analisi Omdia e intitolata “Open vs. Closed: The $11.28M Question for Industrial Leaders”, ha coinvolto 320 manager di settori quali energia, chimica, manifattura e logistica e demolisce il mito dell’affidabilità a tutti i costi delle architetture tradizionali.
Detta in parole semplici: l’infrastruttura tecnologica che per decenni è stata considerata lo standard di riferimento si sta rivelando una zavorra finanziaria insostenibile. Se per le medie imprese l’impatto è del 7,5%, per le realtà più piccole la situazione è ancora più critica, con perdite che possono erodere fino al 25% dei ricavi. Sul fronte opposto, le grandi multinazionali con fatturati superiori al miliardo di dollari vedono sfumare oltre 45 milioni di dollari l’anno.
L’anatomia dello spreco
Il report disaggrega la cifra monstre di 11,28 milioni di dollariidentificando quattro voci di costo principali che, sommate, generano la perdita totale.
La fetta più consistente, pari a 6,1 milioni di dollari, è imputabile alla mancanza di agilità operativa. Il 77% dei sistemi analizzati è ancora hardware-centrico: ogni modifica funzionale richiede interventi fisici su controllori e cablaggi: un approccio che trasforma aggiornamenti di routine in processi complessi e costosi.
Altrettanto significativo è il peso delle inefficienze operative, quantificato in 2,28 milioni di dollari. Qui il problema risiede nella frammentazione: la maggior parte degli impianti utilizza da 2 a oltre 10 piattaforme proprietarie diverse. Questa “Torre di Babele” tecnologica impedisce una manutenzione autonoma, tanto che il 30% degli interventi richiede l’uscita di specialisti del fornitore, aggravando i costi e allungando i tempi di fermo macchina. Nelle grandi aziende il costo di un’ora di inattività non programmata può schizzare fino a 250.000 dollari.
Le altre due voci riguardano la sostenibilità (1,7 milioni persi in adeguamenti normativi che richiedono retrofitting hardware) e la gestione dei dati (1,2 milioni). Su quest’ultimo punto, lo studio evidenzia come i sistemi chiusi agiscano da silos: solo il 28% delle aziende riesce ad accedere a insight in tempo reale, rendendo impossibile l’applicazione efficace di algoritmi di intelligenza artificiale o manutenzione predittiva.
Il fattore tempo e il ritardo nel time-to-market
Oltre al danno economico diretto, esiste un costo opportunità legato ai tempi di sviluppo. I cicli di progettazione attuali richiedono dai 3 ai 5 mesi solo per arrivare all’approvazione del design. Di questo tempo il 35% viene speso esclusivamente per selezionare e specificare i componenti hardware e le soluzioni di connettività compatibili, mentre un altro 30% se ne va per garantire che componenti di brand diversi riescano a comunicare tra loro.
Anna Ahrens, Principal Analyst di Omdia, sottolinea come non si possa più considerare l’agilità un optional: «Ignorare l’ottimizzazione dei costi degli ecosistemi di automazione significa rinunciare a oltre 1 milione di dollari ogni trimestre. Risorse che potrebbero essere reinvestite in innovazione e sviluppo».
La via dell’automazione aperta e software-defined
La risposta industriale a questa emorragia di risorse risiede nel disaccoppiamento tra hardware e software. L’approccio Open Software-Defined Automation (SDA) permette di eseguire il software di controllo su hardware generico e standardizzato, abbattendo i vincoli proprietari.
Secondo quanto riportato nel white paper, l’adozione di standard aperti come quello previsto dalla norma IEC 61499 permette di ridurre i costi di ingegneria del 30% e dimezzare i tempi di commissioning.
Gwenaëlle Avice Huet, Executive Vice President Industrial Automation di Schneider Electric, ha evidenziato un aspetto sociale di questa transizione: «Trovo particolarmente incoraggiante che le aziende più piccole, spina dorsale dell’economia, possano ottenere i maggiori risparmi da reinvestire in crescita. L’automazione aperta è una soluzione collaudata per diventare più resilienti in un contesto di domanda mutevole».
Il report è disponibile a questo indirizzo, scaricabile previa registrazione.
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