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Eni Nigeria, condanna confermata per i pm De Pasquale e Spadaro
La corte di appello di Brescia ha confermato la condanna a otto mesi per rifiuto di atti di ufficio a carico dei pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro riconosciuti colpevoli di non aver depositato atti favorevoli alle difese nel processo per una presunta tangente pagata dall’Eni in Nigeria.
L’accusa era di corruzione internazionale per un accordo petrolifero Eni- Shell. Ma tutti gli imputati furono assolti già in primo grado e la procura generale scelse di non ricorrere in appello per cui la sentenza divenne definitiva. La vicenda portò a una spaccatura nella procura di Milano perché fu il pm Paolo Storari a denunciare che l’ufficio inquirente aveva omesso di depositare atti favorevoli agli imputati. Ieri prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio il pm Sergio Spadaro, Nel frattempo passato alla procura europea, aveva ribadito che non vi fu nessuna omissione e che il comportamento suo e del collega De Pasquale era stato il massimo della trasparenza.
La corte di appello di Brescia ha sposato la decisione presa in primo grado dal Tribunale. “Non ci credo, mi dispiace ma non ci credo” è stato il commento dell’avvocato Massimo Di Noia. L’unica differenza con la sentenza del Tribunale è che in appello come chiesto dal pg la condanna è stata limitata al danno morale. Tra 90 giorni ci sarà il deposito delle motivazioni. Poi se ne riparlerà in Cassazione. Nella vicenda molto intricata pesa anche la “manovra” che sarebbe stata fatta dalla procura di Milano per liberarsi del presidente Marco Tremolada nel processo principale. L’allora procuratore capo Francesco Greco aveva mandato a Brescia il verbale in cui Piero Amara avvocato esterno dell’Eni sosteneva che Tremolada sarebbe stato considerato “avvicinabile” da due avvocati della difesa. Accuse senza consistenza che a Brescia furono velocemente archiviate ma che provocarono mole polemiche.
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