Un discorso poetico scandito dall’eco della falena

Una stanza immobile, due corpi che si cercano senza parlarsi. L’eco della falena, in scena dal 20 al 26 ottobre alla Sala Tre del Teatro Franco Parenti di Milano, è l’ultima fatica di Ciro Gallorano, regista e performer tra le voci più interessanti del nuovo teatro italiano. Lo spettacolo è una prodotto da Cantiere Artaud, con Davide Arena e Sara Bonci in scena, e le luci di Federico Calzini e dallo stesso Gallorano.
L’opera nasce da un percorso di residenze artistiche nei teatri di Bucine e Monte San Savino, sostenuto dal MiBACT, dalla Regione Toscana, da SIAE e dal Centro Teatrale Umbro nell’ambito del programma “Per Chi Crea”. L’eco della falena ha ricevuto numerosi riconoscimenti: è stato vincitore del Bando Opera Prima 2020, finalista Direction Under 30 2020, ed è stato selezionato da In-Box 2020 e 2021, ma anche finalista CrashTest Teatro Festival 2021 e inserito nella International Performing Art Season XXXIV Ed.
La scena è essenziale: una camera sospesa nel tempo, attraversata da una donna che ripete gesti quotidiani — lavarsi, cucire, prepararsi — come in un rito senza fine. Dietro due grandi porte chiuse si nasconde l’eco del futuro, o del passato, mai del tutto distinto. Il tempo diventa il vero protagonista: scorre, corrode, cura. Si fa nostalgia, ferita, attesa.
Gallorano costruisce un teatro senza parole, dove luce, ombra e suono sostituiscono la parola. Lo spazio scenico diventa un corpo vivo, attraversato da presenze che appaiono e scompaiono come ricordi. L’uomo che entra in scena non è un personaggio, ma una proiezione: una figura che abita la memoria della donna o forse la sua immaginazione. I due non dialogano, ma si sfiorano, in un confronto muto fatto di gesti minimi e sospensioni.
Il lavoro è ispirato liberamente alla vita e alle opere della scrittrice e saggista britannica Virginia Woolf. La scrittura scenica si affida alla sottrazione: un teatro che parla attraverso le assenze. L’ultima immagine, quella di una farfalla intrappolata nel bozzolo, è infatti il simbolo del tempo che si ripiega su se stesso, del ricordo che si consuma nel tentativo di liberarsi.
La forza dello spettacolo risiede nella sua economia: pochi oggetti, gesti calibrati, una partitura luminosa che guida lo sguardo dello spettatore. Gallorano lavora sul confine tra ciò che è visibile e cosa non lo è, costruendo un linguaggio fisico e simbolico che rimanda al rito, e alla memoria arcaica del corpo.
La produzione si inserisce nel progetto The Youth Club, promosso da Fondazione Cariplo, che mira ad avvicinare il pubblico giovane al teatro attraverso linguaggi contemporanei e ibridi. La compagnia Cantiere Artaud, fondata ad Arezzo nel 2016 da Sara Bonci e Ciro Gallorano, si definisce un laboratorio di ricerca sugli archetipi e sulla dimensione catartica della scena. Dal 2020 è riconosciuta dalla Regione Toscana come giovane formazione di prosa. Il suo lavoro si fonda sull’idea che la verità teatrale risieda nel simbolo e nel rito, più che nella parola o nella rappresentazione realistica.
In L’eco della falena questa visione trova compiutezza: un teatro di ombre e rivelazioni, che invita lo spettatore a perdersi dentro un labirinto di gesti, di luci, ma anche di silenzi. Il suono delle ali di una falena accompagna la fine della scena.
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