Colpi in testa e umiliazioni, il racconto della Flotilla a Cardano. “Ma l’attenzione deve andare a Gaza”


Paolo Romano non è un eroe.
È un ragazzo di 29 anni, che porta gli occhiali, si emoziona quando nomina la mamma e la fidanzata e si ricorda perfettamente i nomi delle sue insegnanti del liceo.
Ma Paolo Romano è anche un consigliere regionale del Partito Democratico che ha scelto di imbarcarsi sulla Global Sumud Flotilla.
E il suo racconto è venuto a farlo a Cardano al Campo, invitato dai volontari del Quarto Stato. Lì, fra i tanti eventi celebrativi organizzati per festeggiare il compleanno del circolo – che ricorre questo fine settimana – si è scelto di proporre la sua testimonianza.
Una scelta ripagata dall’affluenza di pubblico – eterogeneo per genere ed età, con numerosi giovanissimi pronti ad ascoltare – al punto che gli organizzatori sono stati costretti a spostare l’intervento all’esterno del circolo, perché il locale cardanese non sarebbe stato abbastanza capiente per contenere tutta quella fame di conoscenza.
Quelle ferite nell’animo che restano
E Paolo Romano non si è sottratto, porgendo al pubblico il suo pezzetto di storia, ammettendo anche di aver bisogno di questa narrazione condivisa per superare il trauma della detenzione e delle violenze subite nel carcere israeliano.
La prima domanda postagli dalla moderatrice della serata, Alice Bernardoni – segretaria provinciale del PD – è stata un diretto «Come stai?». Romano ha ammesso di aver recuperato la forma fisica, inizialmente colpita da una forte disidratazione e dalle violenze subite, ma di aver al contempo iniziato un percorso psicologico per superare il trauma.
E quel trauma il 29enne lo ha dettagliato. Lo ha fatto con sincerità e senza sfarfallii di parole, ma guardando il pubblico negli occhi e iniziando a parlare di quelle ore di torture, percosse e attacchi psicologici, che avrebbero messo in difficoltà qualsiasi essere umano.
Privazione del sonno, obbligo di mantenere una posizione – distesi a terra con la testa ferma oppure in ginocchio immobili – per lunghe ore, ordini con cui i militari pretendevano che i membri dell’equipaggio si alzassero o abbassassero a scatti seguendo gli “up/down” impartiti – punendo ogni inesattezza con colpi in testa, assenza di assorbenti alle donne, necessità di bere l’acqua del water e mancata distribuzione di farmaci come inalatori per l’asma o cardioaspirina.

Non guardate noi, ma ciò che accade a Gaza
Nonostante tutto questo, subito da ciascun membro della spedizione per mano dell’esercito israeliano, Paolo Romano ha ripetuto a più riprese di non volere il termine “eroe”.
Un punto inossidabile del suo racconto è stata la richiesta di non mitizzare chi ha scelto di imbarcarsi con la Global Sumud Flotilla: «Non trasformiamo la Flotilla nel racconto dei cavalieri della tavola rotonda. In questi due anni abbiamo vissuto tutti un’emozione umana molto forte, l’impotenza, la mia doppia come cittadino e come politico. Ciò che abbiamo fatto è mettere i nostri corpi sulle barche sapendo che ci sarebbero stati dei rischi, ma che questi non avrebbero eguagliato i rischi affrontati ogni giorno dal popolo Palestinese. Volevamo tenere alta l’attenzione su Gaza».

L’equipaggio di terra importante quanto la Flotilla
Un viaggio, dunque, per rispondere con le azioni a quanto stesse avvenendo in Palestina, un viaggio per cercare l’umanità dentro di sé, soprattutto, e non arrendersi a quella sensazione di impotenza.
«Il merito più grande della Flotilla ritengo sia stato risvegliare le coscienze anche di persone con idee politiche differenti, facendo scendere in piazza anche chi di solito non si interessa o non si impegna in una causa. Sono stati loro il nostro equipaggio di terra, importantissimi» tiene a evidenziare il consigliere regionale.
«Abbiamo visto mobilitarsi anziani, genitori con i figli, gente diversa. Guardando le immagini della manifestazione, gli stranieri dell’equipaggio ci dicevano: “Ma come avete fatto?” ma noi rispondevamo: “Non abbiamo fatto niente per far scendere la gente in strada, questa è l’Italia“.
A fargli eco Daniele Crespi, il presidente della Casa del Popolo, che ha ricordato la mobilitazione di migliaia di persone che avevano affollato il circolo (e non solo) a fine agosto per raccogliere beni da spedire a Gaza. Un coinvolgimento che aveva stupito gli stessi organizzatori.


Le condizioni della pace
Lo sguardo, dunque, sempre rivolto a Gaza, ai palestinesi e alla speranza di pace. Questi i motivi che hanno spinto questo 29enne a partire – e centinaia come lui, provenienti da tutto il mondo e con età diverse (anche un ultra 80enne era fra i membri della spedizione, ndr).
Adesso c’è però una pace, firmata e sottoscritta, di cui tanto si è discusso. Romano si ferma a riflettere: «Certamente questo accordo è meglio di ciò che avveniva giorni fa, sicuramente i palestinesi ci direbbero che preferiscono l’attuale situazione – nonostante i morti non smettano di esserci – piuttosto che la pioggia di bombe. Ma ci sono aspetti importanti che vanno garantiti. La nascita dello Stato di Palestina, un processo su quanto accaduto, non per vendetta, ma perché la pace si possa basare sulla giustizia, la ricostruzione affidata a organismi internazionali che garantiscano il rispetto della legge e la presenza dell’Onu. Per questo l’Europa dovrà essere unita e far sentire la sua voce».
La domanda degli studenti sull’odio per il solato israeliano
Adesso, rientrato in Italia, Paolo Romano cerca di riannodare i fili di quanto vissuto. Lo fa raccontando di sé, ma cercando di trasmettere il messaggio più importante a chiunque lo ascolti. «La mobilitazione continua, con lo sguardo fisso a Gaza, per tutti i bambini e per la pace».

E, in nome di quella pace, questo ragazzo che osserva il mondo da dietro i suoi occhiali, ha saputo dare la risposta più forte.
Paolo lo racconta a fil di voce, a margine dell’incontro al Quarto Stato, fermandosi disponibile a parlare con chiunque lo avvicini. «Sono stato in una scuola, la scorsa settimana, al Berchet a Milano. Gli studenti mi hanno chiesto se provo odio per il soldato israeliano che mi ha picchiato e torturato, psicologicamente e fisicamente. Ci ho pensato su e ho risposto loro che “No, non provo rancore. Non potrei cercare la pace se mi fermassi alla mia sola esperienza, voglio giustizia, ma non provo odio. Ciò che voglio è la pace e questo è il mio pezzetto per costruirla».
L'articolo Operatore ecologico colpito con una bottigliata alla testa in Piazza Repubblica a Varese sembra essere il primo su VareseNews.
Qual è la tua reazione?






