Londra cambia le regole sulle case a prezzi accessibili

Ottobre 17, 2025 - 18:00
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Londra cambia le regole sulle case a prezzi accessibili

A Londra il concetto stesso di “casa accessibile” sta cambiando. In una città dove gli affitti medi superano ormai le £2.200 al mese e il prezzo di un appartamento standard si aggira attorno alle £540.000, anche la parola “affordable” — accessibile — è diventata relativa. Oggi, però, il termine potrebbe assumere un significato ancora più flessibile.

Il governo britannico e il sindaco di Londra Sadiq Khan hanno annunciato un piano congiunto che permetterà ai costruttori di ridurre la percentuale di case a prezzi calmierati nei nuovi progetti edilizi, in cambio di incentivi pubblici più generosi e iter burocratici semplificati. Una misura che, secondo Downing Street, punta a “sbloccare i cantieri fermi” e a rispondere alla carenza cronica di alloggi nella capitale.

Ma per molti osservatori, questo accordo segna una svolta amara: un compromesso in cui l’urgenza economica rischia di sacrificare il diritto all’abitare.

Una capitale che costruisce troppo poco

La crisi abitativa londinese non è nuova, ma negli ultimi anni è diventata una vera emergenza sociale. Secondo un rapporto di Molior London, il numero di nuove case in costruzione è crollato da 60.000 nel 2016 a circa 40.000 nel 2025, con una proiezione ancora più drammatica: solo 15.000 unità entro il 2027.

Nel primo trimestre del 2025, sono stati avviati 3.248 nuovi alloggi privati — una cifra che, per una metropoli da nove milioni di abitanti, è definita dagli esperti “quasi simbolica”. In pratica, Londra sta costruendo una casa ogni 1.000 residenti ogni otto anni, un ventesimo del fabbisogno stimato.

Le cause sono molteplici: inflazione, aumento dei tassi d’interesse, crisi dei materiali e un apparato normativo sempre più complesso. Dopo il disastro della Grenfell Tower nel 2017, il nuovo Building Safety Regulator ha introdotto controlli più rigidi, ma anche una burocrazia che oggi blocca oltre 10.000 pratiche edilizie.

In questo contesto, il mercato immobiliare è entrato in una fase di paralisi strutturale. Gli sviluppatori sostengono che le regole attuali — in particolare l’obbligo di riservare il 35% delle nuove unità a prezzi calmierati — rendono i progetti “non redditizi” e quindi impossibili da realizzare.

Il risultato è un cortocircuito: la città con il maggior bisogno di case nuove è anche quella dove costruirle è più difficile.

Il nuovo piano Khan–Reed: costruire meno, costruire comunque

Per uscire da questa impasse, il Secretary for Housing Steve Reed e il sindaco Sadiq Khan hanno trovato un accordo che promette di “riattivare i cantieri congelati” e “sbloccare migliaia di nuove abitazioni”.
Il piano — che sarà inserito nel programma nazionale per raggiungere l’obiettivo di 1,5 milioni di nuove case entro il 2029 — introduce modifiche sostanziali alle regole urbanistiche londinesi.

Tra le principali novità:

  1. Riduzione della quota di affordable homes
    Nei progetti approvati tramite il canale “fast track”, i costruttori potranno riservare solo il 20% di case a prezzi accessibili, contro l’attuale 35%. L’obiettivo è migliorare la redditività dei progetti e incoraggiare nuovi investimenti privati.

  2. Aumento dei sussidi pubblici
    Lo Stato coprirà fino al 50% dei costi di costruzione per le abitazioni a prezzo calmierato, così da compensare la riduzione dei margini per i developer.

  3. Sospensione del Community Infrastructure Levy (CIL)
    I municipi avranno la facoltà di sospendere o ridurre la tassa urbanistica che finanzia infrastrutture locali come scuole, parchi e centri medici.

  4. Durata limitata del provvedimento
    Il piano sarà valido fino al 2028, con revisione annuale e clausola di “ritorno automatico” ai parametri precedenti se le condizioni economiche miglioreranno.

Secondo il Guardian, la misura è frutto di “un compromesso necessario”, ma rappresenta “un passo indietro storico per le politiche abitative di Londra”.

Il punto di vista del governo: “Meglio il 20% di qualcosa che il 35% di niente”

La posizione ufficiale del governo è chiara: meglio abbassare temporaneamente gli standard piuttosto che lasciare i cantieri fermi.

Un funzionario del Department for Levelling Up, Housing and Communities ha spiegato che “le regole attuali scoraggiano gli investimenti. Troppi progetti restano sulla carta perché i costi dell’housing accessibile superano i margini di profitto.”

Secondo il governo, un abbassamento della soglia permetterebbe di riattivare centinaia di piani edilizi bloccati, creando migliaia di posti di lavoro nel settore delle costruzioni.

L’argomento economico è potente: il settore immobiliare rappresenta circa il 15% del PIL londinese, e la sua stagnazione pesa sull’intera economia nazionale.

Il ministro Steve Reed ha dichiarato al Guardian:

“Non è una resa, ma un intervento d’emergenza. Non possiamo permetterci di avere gru ferme e cantieri vuoti mentre migliaia di famiglie non trovano casa.”

Sadiq Khan: pragmatismo o resa politica?

Anche Sadiq Khan, pur da sempre difensore dell’edilizia accessibile, ha appoggiato la misura. Il suo ufficio ha confermato che il sindaco “ha scelto il pragmatismo di fronte a una crisi senza precedenti”.

Khan ha dichiarato di voler “dare priorità alla costruzione effettiva di nuove abitazioni, anche se in percentuali più basse”, sostenendo che “un numero minore di case accessibili ma realmente costruite è meglio di zero.”

Tuttavia, le sue parole non hanno convinto tutti. Le opposizioni e diversi urbanisti londinesi parlano di “un cambio di rotta ideologico” che rischia di trasformare la capitale in un territorio sempre più esclusivo.

Il portavoce della London Tenants Federation ha sintetizzato così la critica:

“Ridurre la quota di case accessibili significa accettare che Londra resti una città per chi può permettersela, non per chi la fa vivere.”

Il malcontento delle associazioni per la casa

Le reazioni delle organizzazioni non profit e dei sindacati dell’edilizia sociale sono state durissime.

La direttrice di Shelter, Mairi MacRae, ha definito la misura “un favore ai costruttori a scapito dei 97.000 bambini che oggi crescono senza una casa stabile a Londra”.

Per Shelter, la riduzione della quota di affordable homes non farà che aggravare la crisi degli affitti, già ai massimi storici. “Gli sviluppatori continueranno a costruire appartamenti di lusso o build-to-rent inaccessibili, mentre le famiglie più fragili saranno spinte ancora più lontano dal centro.”

Anche la National Housing Federation, per voce della CEO Kate Henderson, ha espresso preoccupazione:

“Sappiamo che i costruttori sono in difficoltà, ma non possiamo risolvere un problema riducendo le ambizioni. L’edilizia sociale deve restare la spina dorsale del piano abitativo londinese.”

Molte associazioni avvertono che la misura potrebbe diventare permanente, come accaduto dopo la crisi del 2008, quando provvedimenti “temporanei” di deregolamentazione furono poi prorogati per anni.

Una città divisa tra lusso e precarietà

Londra è oggi una delle città più polarizzate del mondo in termini di abitazione. Nei quartieri centrali, come Kensington, Mayfair e Marylebone, il prezzo medio di un immobile supera le £1,2 milioni, mentre nella periferia est di Barking and Dagenham o Croydon si moltiplicano i dormitori temporanei per famiglie senza fissa dimora.

Il numero dei senza tetto minorenni ha raggiunto quota 97.000 nel 2025, il livello più alto mai registrato nella capitale, secondo i dati del Greater London Authority.

In questo scenario, ogni modifica al sistema di affordable housing ha un impatto diretto sulla composizione sociale della città. La paura è che Londra diventi sempre più un mosaico di enclavi per ricchi e ghetti per precari.

L’urbanista Anna Minton, autrice di Big Capital, ha scritto sul Financial Times:

“Non è solo una questione di numeri, ma di visione. Ridurre le case accessibili è come tagliare le radici di Londra: una città che ha sempre vissuto di mescolanza sociale e diversità.”

L’effetto domino sui municipi

La nuova politica avrà ripercussioni dirette sui borough councils, i municipi che gestiscono la pianificazione locale.

Molti di essi, già sotto pressione per la mancanza di fondi, rischiano di vedere crollare le entrate derivanti dal Community Infrastructure Levy (CIL), che finanzia servizi pubblici essenziali.

Il Richmond Council, ad esempio, ha dichiarato che la sospensione del CIL potrebbe “ritardare la costruzione di scuole e centri sanitari”.
Anche il Camden Council ha espresso perplessità: “Il rischio è che ci ritroviamo con più case ma meno servizi, e quindi con comunità più fragili.”

In risposta, il governo ha promesso un “Housing Infrastructure Fund” da £1,2 miliardi per compensare la perdita di gettito, ma non è chiaro come verrà distribuito.

Costruttori e mercato: entusiasmo moderato

Le grandi imprese edilizie, come Berkeley Homes e Barratt Developments, hanno accolto la notizia con favore.
Secondo i developer, l’attuale sistema rende impossibile costruire a Londra senza enormi sussidi: “Il 35% di affordable housing significa lavorare in perdita”, ha dichiarato un dirigente di Taylor Wimpey.

Molti piccoli costruttori sperano che la riduzione delle quote li riporti in gioco, consentendo progetti di scala minore nelle aree periferiche.

Tuttavia, alcuni esperti finanziari avvertono che la crisi dei mutui e la carenza di manodopera qualificatacontinueranno a frenare il mercato, indipendentemente dalle nuove regole.

Un equilibrio difficile: l’accessibilità che si allontana

L’essenza del dibattito è tutta qui: il compromesso tra costruire di più e costruire per chi ne ha bisogno.

Se il nuovo piano riuscirà davvero a far ripartire i cantieri, Londra potrebbe vedere un incremento delle nuove unità già dal 2026. Ma gli alloggi “accessibili” rischiano di essere accessibili solo di nome.

Attualmente, infatti, la definizione di affordable home adottata dal governo si basa su affitti pari al 80% del valore di mercato. In un quartiere come Hackney, dove un bilocale costa in media £2.000 al mese, “accessibile” significa comunque £1.600 — ben oltre la soglia sostenibile per un lavoratore medio.

Come osserva Polly Neate, direttrice di Shelter:

“Il problema non è solo quante case costruiamo, ma per chi le costruiamo.”

Un futuro incerto per la Londra che abita

Il nuovo corso dell’edilizia londinese apre scenari contraddittori.
Da un lato, c’è la speranza di sbloccare investimenti e posti di lavoro; dall’altro, il timore di accelerare la gentrificazione irreversibile di una capitale già segnata da disparità economiche.

Le cifre parlano chiaro: per soddisfare la domanda reale, Londra avrebbe bisogno di circa 66.000 nuove case all’anno. Anche con le nuove regole, il ritmo stimato non supererà le 25.000 unità annuali.

Nel frattempo, i londinesi continuano a convivere con una realtà fatta di affitti inaccessibili, camere condivise e spostamenti sempre più lunghi. Il rischio è che la città perda progressivamente la sua anima mista, quella che per secoli l’ha resa viva e creativa.

“Se i lavoratori dei servizi, gli insegnanti e gli infermieri non possono più permettersi di vivere a Londra,” ha commentato Robert Colvile del Centre for Policy Studies, “chi terrà in piedi la città?”

FAQ e punti chiave

Cosa cambia con la nuova misura?
I costruttori potranno ridurre la quota di case accessibili dal 35% al 20% per un periodo limitato, ricevendo in cambio più sussidi pubblici.

Perché è stata introdotta?
Per contrastare la crisi del mercato edilizio e stimolare la costruzione di nuove case.

Chi la sostiene?
Il governo britannico e il sindaco di Londra, Sadiq Khan.

Chi la contesta?
Le associazioni per la casa (Shelter, National Housing Federation) e diversi consigli municipali.

Quando entrerà in vigore?
Entro fine 2025, con revisione prevista nel 2028.


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