I videogiochi indipendenti sono una metafora (imperfetta) della vita

Ottobre 17, 2025 - 09:30
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I videogiochi indipendenti sono una metafora (imperfetta) della vita

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A vederli, sembrano proprio brutti. Disturbanti. Poco chiari. Mescolano generi e stili. Non hanno un andamento lineare. A scuola non prenderebbero buoni voti. Stiamo parlando dei videogame indipendenti, detti anche indie. Sono la versione inquietante dei videogame più noti al grande pubblico – detti mainstream o anche, più spregiativamente, “commerciali”. Ironico, sostiene lo sviluppatore indie conosciuto come The Catalist, assomigliano un po’ a “barzellette che non fanno più ridere”. E che non contengono nemmeno zombie da fare fuori. Sono, insomma, sono i giochi “dadaisti” di un’industria, quella globale dei videogame, ormai miliardaria: i B-movie prima che li scoprisse Quentin Tarantino. 

“E quindi? Come si gioca?”. Alla mostra Sequencebreak sui videogame indie conclusasi a giugno 2025, una visitatrice ha guardato il curatore Nilson Carroll con occhi stupiti e gli ha chiesto come diavolo si giocasse a quello strano videogioco. “Come si vince?!”, insomma.

E Nielsen ha risposto che, ecco… non si vince. Il videogioco in questione era un documentario giocabile dal titolo Out for Delivery, realizzato da Heart Street (Yuxin Gao, Lillyan Ling, Gus Boehling, e John Bruneau), usando riprese a 360 gradi per raccontare la storia di una giornata nella vita di un runner, che fa consegne a Beijing, in Cina. “E allora, che ci faccio?” “Oh niente di particolare. Ti guardi intorno, ascolti, osservi, esplori e poi qualche cosa succede”.

Guitar Hero. Illustrazione di Marta Signori

Benvenuti nel mondo di videogiochi indie che stanno allargando i confini di un’industria dal mercato globale che va dai 200 miliardi di dollari (ma con aspettative di crescita di 10 o 15% nei prossimi 5 anni) e lo trasforma, ibridandolo con arte, atmosfera da fanzine e B-movie. «I videogame indie sono un mondo dove le vite delle persone contano e le azioni da compiere non sono solo “sparare, raccogliere e vincere” bensì “guardare, ascoltare, bighellonare”», spiega ancora più incisivamente il curatore Carroll.

«Non si vince?».

«No, non proprio».

Perché questi videogiochi sovvertono non solo lo stile e la grafica, ma l’impostazione “meritocratica” stessa del viaggio dell’eroe, osando proporre una visione più democratica e potremmo dire “più umana”.

L’esperienza di gioco diventa così più intima, profonda e, in fin dei conti, molto più simile alla vita. Entri nel gioco e non sai che cosa fare, non sai perché sei lì e non conosci lo scopo. Se questa non è una metafora della vita, beh, ci assomiglia molto.

«La visitatrice rimase un po’ delusa, ma decise di provare lo stesso. Ci volle un po’ e poi uscì soddisfatta. A differenza dei videogame mainstream, qui si incontrano storie diverse», prosegue Carroll. No, non sei l’eroe muscoloso, nemmeno l’investigatore furbo, la principessa con le spade o il ragazzino che ammazza gli zombie. Questi giochi vanno oltre la dicotomia del bene contro il male. Niente buoni, cattivi, zombie o principesse da salvare. Piuttosto micro dosi di poesia, vulnerabilità e un’estetica radicale. Indagano la zona grigia tra bene e male e la complessità di punti di vista con lo scopo di espandere non solo i confini del gaming, ma anche quelli personali, di accettazione, curiosità e conoscenza del mondo.

Tetris. Illustrazione di Marta Signori

«In Out for Delivery non c’è un unico modo di procedere e non c’è un premio. Piuttosto c’è un’esplorazione della vita di un’altra persona», continua. E aggiunge: «I giochi più commerciali hanno percorsi più standardizzati e scopi precisi, come andare da A a B o passare per X, Y e Z e se ce la fai ti viene data una pacca sulla spalla. Bravo! Qui è diverso. Qui si cerca il senso». Chi l’avrebbe detto che fossero proprio i nuovi videogiochi indie a insegnarci un più tollerante approccio mindful all’esistenza?

«Come capire se il tuo gioco non è mainstream? Se è difficile da spiegare e le persone dicono “Non ho mai sentito una cosa del genere!”, beh, allora per me è un successo. Ma questo significa anche che ci sono grandi possibilità di fallimento, come in tutte le cose laterali e che si propongono in modo non convenzionale». Spiega Nathalie Lawhead, autrice di Everything is going to be OK. Un gioco non lineare o una zine interattiva che affronta temi personali e spiega come sopravvivere a esperienze traumatiche. Violento e funny allo stesso tempo, nel gioco siamo guidati da un coniglietto cartoon. Il gioco mescola cose sciocche e giocattoli senza senso, che si aprono in finestre di gioco separate per creare una costellazione di sensazioni, esperienze e memorie.

“Una delle recensioni di Everything is going to be OK su Steam che mi è piaciuta di più, diceva semplicemente: “Molto carino, ma ti fa pensare alla vita”. Ecco, credo che questo racchiuda quello che ogni artista cerca di ottenere con i suoi lavori. Vorrei creare spazi di catarsi, individuale prima di tutto. Vorrei che le persone potessero vedere e raccontare cose che non avrebbero il coraggio di dire a voce alta. L’arte non è focalizzata sull’artista, ma sul collegamento con il giocatore».

Bubble Bobble. Illustrazione di Marta Signori

Chi c’è dietro videogiochi come Out for delivery o Everything is going to be OK ? Spesso non un mercato milionario, ma una moltitudine di creativi, artisti o soltanto sviluppatori che investono energia e tempo e incredibili competenze. «I giochi possono essere molto maturi, politici, annotazioni sulla nostra società e sulla giustizia sociale, Sono mezzi empatici», racconta Lawhead. «Lo so: negli ultimi anni, ci sono state molte discussioni su come i videogame potessero incentivare atteggiamenti violenti nei giocatori o come potessero diventare quasi delle droghe. Forse c’è della verità in questo. Non voglio ignorare le esperienze di altre persone. Ma se ammettiamo che possano farti del male significa anche che hanno un enorme potenziale e che possono essere usati anche in senso positivo. Dipende. Il giudizio negativo è legato ai prodotti classici che le major dell’industria continuano a proporre.

Come se quelli fossero i veri giochi. I giochi indie hanno cambiato e continuano a cambiare questa percezione. Hanno la grande abilità di far immedesimare le persone e questo è uno strumento di grande emotività e crea uno spazio potentissimo per aprire discussioni su molti temi controversi. È un sistema talmente accessibile a tutti ormai che non possiamo più definirlo “un semplice divertimento”.

Anche Gillmore Stephen Gillmurphy, noto in rete come The Catamites, è uno sviluppatore di videogiochi irlandese noto per giochi come Space Funeral e Anthology of the Killer. Sembrano dei fumetti animati, disegnini di poco conto, collage di stili diversi ad alto potenziale satirico: «I videogiochi hanno potenzialità incredibili e invece continuiamo a vedere solo prodotti di puro intrattenimento mentre sono anche esperienze sconcertanti che accadono attraverso uno schermo».

SIM City. Illustrazione di Marta Signori

Il suo Anthology of the Killer è una serie horror comedy in nove episodi usciti tra il 2020 e il 2024 e pubblicata ora completa per i sistemi operativi Windows, MacOS, e Linux. La protagonista e una donna che esplora un college dell’orrore dove si nascondono diversi omicidi. Neanche a dirlo, la ragazza cerca ispirazione per la spooky zine: spettrale, inquietante… Stephen Gillmurphy mescola humour, horror, surrealismo per creare un’eroina insolita.

«La cosa particolare dei videogame indie è che sono… strani, insoliti, al punto che la gente quando li vede per la prima volta, li trova sconcertanti. Quella sensazione che sospende il giudizio e non sei sicuro esattamente di cosa siano», perché sono adorabilmente kitsch e terribili allo stesso tempo, infantili e diretti, ma anche profondi e insoliti. Spiega ancora lo sviluppatore: «Esploriamo uno spazio vuoto, e allarghiamo i confini: e questo è sempre sempre pericoloso, in tutti i campi». L’autrice continua: «La gente ride tantissimo dei miei giochi, non sempre in senso positivo. Sono fatti “male”, sono grezzi ma questo loro “essere fatti male e con pochi mezzi” è un messaggio. Voglio che le persone ci giochino e si chiedano se è fatto male o se è volutamente così strano. Questa domanda apre molte porte, l’incertezza stessa diventa un messaggio»

In un mondo in cui il successo si misura ed è data driven, fare le cose per hobby o solo perché piace è forse l’azione più ribelle e creativa del mondo. Gillmurphy racconta: «Ero molto nervoso quando ho fatto uscire il gioco perché sapevo che era molto strano, come una barzelletta che non fa più ridere. Mi piace che le persone si fermino a giocare al mio gioco perché dopo un po’ qualcosa succede. Qualcosa fa clic…». 

E se i videogiochi indie un giorno diventassero dei film? «Di sicuro sarebbero B-movie, come quelli che ispirarono Quentin Tarantino», risponde Lawhead. E aggiunge: «B-movie dadaisti! Cioè, li guardi e non li capisci bene. Ma non riesci allo stesso tempo a distogliere lo sguardo». Si tratta di videogame che la gente guarda, pardon, gioca, con un sopracciglio alzato, incerti se sia una presa in giro o se, sotto sotto, sì, in effetti stia succedendo qualcosa, nel gioco e dentro di loro.

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Le immagini di Marta Signori sono tratte dall’Atlante dei Videogame di Andrea Cuman e Cristian Confalonieri (Topic Edizioni), opera che fa seguito alla pubblicazione, nell’ottobre del 2024, dell’Atlante dei Giochi da Tavolo. Dall’era dei cabinati arcade delle sale giochi, passando per i giochi da console domestiche e Pc fino ai più popolari adattamenti da mobile, questo nuovo Atlante è una mappa del mondo dei videogame in 100 giochi rappresentativi.

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