Il mondo onirico, misteriosa terra dell’inconscio

Non porrò la domanda in modo diretto, naturalmente. Non chiederò: “Come fa, lei, a dormire? Come funziona? Qual è il suo segreto?”. E non ho nemmeno intenzione di spiarli o di giocarmela con “Buongiorno, è per un’indagine, un sondaggio, una storia sull’insonnia”. Ci andrò giù leggero, con un’aria da nulla, sottilmente. Ma a prima vista, allo stato attuale delle mie informazioni, ho già capito questo. Gli individui possono essere ricchi o poveri. Potenti o privi di potere. Sereni o febbrili. Ebrei o greci. Nervosi o meno. Cattolici o no. Ma hanno un punto in comune. Hanno dei problemi. Delle preoccupazioni. Dei pensieri cupi che li assillano. Il carovita per gli uni. Un inferno più dorato per gli altri. Hanno pene d’amore. Vivono drammi grandi o piccoli. Portano segreti troppo pesanti per loro e, talvolta, hanno voglia di mandare tutto all’aria. C’è sempre un momento in cui tutto finisce. C’è sempre una fase in cui, meccanicamente, fatalmente, come se esistesse una legge forte come quelle che regolano la caduta dei corpi, la relatività o le rivoluzioni, si calmano, crollano, spengono le macchine, si schiantano, entrano nella notte.
Per questo c’è un modo di dire. Cado dal sonno. Cade la notte, mentre anch’io cado, ma dal sonno. Già ho sempre trovato strano “cade la notte”. Ma cadere dal sonno è peggio. Mi terrorizzava quando ero piccolo e aspettavo che mia nonna, quasi centenaria, quasi cieca, e analfabeta, si alzasse, dopo cena, dicendo, con quel leggero accento ladino, dolce e melodioso, che ha conservato fino alla fine: “Cado dal sonno.” Me la immaginavo che, rientrata nella sua stanza a piccoli passi, cadeva in un buco, un pozzo, un vuoto, i lunghi capelli stranamente neri (che lei non ha mai tinto né tagliato e che ho sempre visto trattenuti solo da pettinini di corno marroni) che le fluttuavano intorno come quelli di un’annegata.
Ma, allo stesso tempo, è un dato di fatto. Che mi piaccia o meno, è così che stanno le cose. Il principe di Condé è, secondo Bousset, talmente esausto, da stare a malapena in piedi, che dorme prima della battaglia di Rocroi. E anche Napoleone, quello di prima di Waterloo, aveva un letto da campo, in tela e metallo, che lo seguiva dappertutto, su un carro apposito e dove, prima di ognuna delle sue battaglie, schiacciava un pisolino, al bivacco, ai piedi di un albero. Non è quello che io stesso dicevo ai miei figli ai tempi in cui non sapevano della malattia del loro padre e avevo paura di trasmettergliela? Niente chimica, ragazzi. No di certo. Alla fine il sonno ti coglie sempre. È la natura. È scientifico. Bisogna solo essere pazienti e dirsi: non importa! È un male per un bene! Ne approfitto per leggere un libro che forse non avrei letto altrimenti! Un libro intenso! Profondo! Mallarmé au tombeau, per esempio, del mio caro amico Jean-Claude Milner! Sapete che anche i condannati, nei bracci della morte, finiscono sempre per addormentarsi? O Akim Akimyč, il galeotto di Dostoevskij che, finito il lavoro e dette le preghiere, si stende sul suo giaciglio e si addormenta? Il fatto è che ha funzionato e che loro sembrano avere un sonno quasi normale.
No. Il problema sono io. In teoria sono bravo, ma pessimo nella pratica. Mi agito. Perdo il controllo. Tutto assume proporzioni enormi. Gli amici malati. Il riscaldamento globale. La chiusura, a Tangeri, dell’ultimo ristorante in cui andavo con Paul Bowles. L’andante del tempo che passa. Justine che non richiama. O l’angoscia per l’appuntamento di domani. Non riesco a frenare il flusso di idee negative. Né delle idee in generale. È una farandola. Una sarabanda. Qualcosa si è sregolato, non so cosa, ma lo sento, nell’orologio interiore che fa sì che il pensiero del giorno si metta in stand-by e si entri nella notte.
Ci deve essere una leva di sicurezza da qualche parte. O come sui treni, un freno d’emergenza. O un pulsante off. O un tasto per mettere in pausa. Non ho alcuna informazione, ovviamente, sull’ultima notte dei condannati e lo dicevo solo per stimolare la fantasia dei bambini. Ma ho appreso da Michel Leiris, che lo aveva scoperto grazie a Marcel Mauss, che i guerrieri mongoli e unni dormivano, al galoppo, sulla sella del loro cavallo. E ho visto, a Kramators’k, nel Donbass, nel 2016, i vecchi soldati del giovane esercito ucraino dormire in piedi, appoggiati ai muri della loro caserma, una notte in cui un missile Smerch russo era caduto sulla città e io mi ero precipitato, insieme al presidente Porošenko, in soccorso dei feriti.
Ma, nel mio caso, questo non funziona. I tasti pausa e off sono disattivati. Il codice è cambiato. La vecchia algebra si è offuscata. Perché c’è l’essere piuttosto che il nulla, chiedevano i miei professori del corso propedeutico all’École Normale Supérieure? Per me, oggi, la domanda è: perché c’è il sonno invece che la veglia? E come è possibile dormire? Per me, è impossibile. La mia vita è una logorrea, un chiacchiericcio ininterrotto, una ripresa senza fine, nessuno che dica “Stop!”.
Non è, in fondo, quello che diceva Lacan? Era l’epoca in cui andare alla Joie de Lire a rubare i libri di filosofia che bisognava aver letto era un atto di devozione quasi quotidiano del filosofo. Siamo precisi! C’erano due aristocrazie studentesche. La trockista e la maoista. Siccome François Maspero, proprietario di La Joie de Lire, era trockista, i suoi compagni preferivano rifornirsi alla Librairie des PUF, Place de la Sorbonne, sotto lo sguardo severo di Auguste Comte. Ma i maoisti, tra cui avevo, grazie a Benny Lévy, alcuni dei miei veri compagni, quando gli scrupolosi esitavano, dicevano: “Lascia perdere, è un trockista.” Ed eccomi, una sera d’inverno del 1967, che esco dall’Istituto di filosofia e matematica, Rue d’Ulm, dove non ero ancora entrato, mentre corro da Maspero, in Rue Saint-Séverin, e m’infilo il grosso volume degli Scritti, edizioni Seuil, 890 pagine, nella tasca interna del parka.
L’inconscio non tace mai… Non si sogna solo quando si dorme e non si dorme necessariamente quando si sogna… L’inconscio è l’ipotesi che si sogni anche da svegli… Queste frasi lacaniane hanno mandato all’aria i miei pregiudizi da buon cartesiano e mi hanno segnato per la vita. Perché allora qual è la differenza tra veglia e risveglio? E perché intestardirsi a dormire se è lo stesso inconscio che, in entrambi i casi, parla, si tira indietro, si scontra con il reale e ti tradisce?
È il colmo per qualcuno che, un giorno, ha dichiarato di “non credere” all’inconscio. Ma va a sapere se questo non sia anche quello che è successo… se non è in questa parte della mia esistenza che qualcosa si è inceppato… forse ho perso il sonno come altri la vista o l’odorato…
Tratto da “Insonnia”, di Bernard-Henri Lévy, ed. La nave di Teseo, 160 pagine, 16,15€
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