La responsabilità politica della Mostra del Cinema di Venezia, e lo spirito del nostro tempo

Agosto 28, 2025 - 08:00
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La responsabilità politica della Mostra del Cinema di Venezia, e lo spirito del nostro tempo

Si apre la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove la cultura è politica e responsabilità. Alla Mostra del Cinema di Venezia non si celebra soltanto il cinema, ma anche lo spirito del nostro tempo. L’82ª edizione lo conferma: tra film che affrontano guerre dimenticate, storie di migrazioni, lotte per i diritti civili, il festival diventa ancora una volta un palcoscenico politico, oltre che artistico.

Lo si è visto fin da prima dell’apertura del red carpet, con attori e registi che hanno preso posizione sulla tragedia in corso in Palestina. Lo si vede con pellicole che non hanno paura di toccare nervi scoperti.

Il film “The Voice of Hind Rajab” di Kaouther Ben Hania ha scosso la platea raccontando la tragedia di una bambina palestinese rimasta intrappolata in un’auto sotto i bombardamenti a Gaza, mentre “The Wizard of the Kremlin” di Olivier Assayas accende un faro sul potere e l’autoritarismo in Russia.

Venezia, insomma, conferma che la cultura non è mai neutra. Ogni scelta della direzione artistica guidata da Alberto Barbera – quali film invitare, quali storie mettere al centro, quali voci dare spazio – è di fatto una scelta politica.

Non nel senso della militanza, ma nel senso alto del termine: la costruzione di un discorso pubblico che aiuta a capire la realtà. Non è un caso che la Mostra si apra con “La Grazia” di Paolo Sorrentino, che con Toni Servillo e Anna Ferzetti ci interroga sulla fragilità e sulla ricerca di senso.

C’è però un aspetto che spesso rimane in secondo piano: la responsabilità. La Mostra esiste grazie a un delicato equilibrio di finanziamenti pubblici, sostegno istituzionale e credibilità internazionale. Garantire la sua indipendenza significa non piegarla a logiche di propaganda, né ridurla a passerella di lusso. È qui che la politica, quella vera, è chiamata in causa: non per dirigere, ma per proteggere.

Gli applausi e i fischi in sala non sono semplici reazioni estetiche: raccontano il bisogno di confrontarsi, di prendere posizione.

Le conferenze stampa degli autori diventano arene in cui la libertà di parola è messa alla prova. “La cultura è politica e necessità di responsabilità. Sempre”. Questa frase, che potrebbe sembrare uno slogan, trova in laguna la sua conferma più evidente.

Venezia ci ricorda che i festival non sono solo vetrine, ma spazi democratici in cui si decide come raccontare il mondo e come guardarlo.

Come ha dichiarato Alberto Barbera alla vigilia del festival: «Il cinema non risolve i conflitti, ma può aiutare a guardarli in faccia. È questo il compito che ci assumiamo: non negare la realtà, ma darle voce».

E Pietrangelo Buttafuoco ha ribadito: «La Biennale è uno spazio di libertà: non si tratta di separare l’arte dalla politica, ma di ricordare che ogni opera porta con sé una responsabilità civile».

In questo quadro, anche come Cultura🇮🇹Italiae, abbiamo sempre sostenuto e condiviso scelte difficili, come la decisione di prendere le distanze da artisti russi apertamente schierati a favore della guerra di aggressione in Ucraina. È il caso del direttore d’orchestra Valery Gergiev, che – a differenza di centinaia di colleghi russi che hanno avuto il coraggio di dissociarsi – si è dichiarato convinto sostenitore di Vladimir Putin.

In quel caso la censura non era pretestuosa: significava assumersi la responsabilità di non legittimare chi si fa strumento di un regime che nega diritti e libertà.

Ben diverso è invece quanto accaduto a Venezia, con la richiesta di censurare o di non invitare Gal Gadot e Gerard Butler. Accuse che non reggono alla prova dei fatti. Nessuno dei due porta con sé responsabilità dirette o indirette rispetto alla tragedia in corso in Medio Oriente. Anzi, nel caso di Gadot, le posizioni pubbliche sono state critiche verso l’attuale governo israeliano. Colpire due interpreti del cinema mondiale, che nulla hanno a che vedere con le scelte politiche dei governi, significa compiere un errore grave: confondere la responsabilità individuale con quella collettiva, trasformando il dibattito culturale in un campo di battaglia ideologica sterile e dannosa.

Quanto accade oggi a Gaza non si affronta con le censure facili, ma con la verità e la giustizia.

La memoria delle vittime del 7 ottobre non può essere separata dalla denuncia dei massacri che ancora oggi si consumano in Palestina.

È necessario condannare sia il terrorismo che semina morte, sia le scelte politiche che, in nome della sicurezza, stanno pianificando l’eliminazione di un popolo inerme e disperato.

Se davvero si vuole una Palestina libera, se davvero si crede nel principio di due Popoli e due Stati, allora non si devono commettere errori di prospettiva.

Serve rispetto autentico per le ragioni di chi manifesta e per i diritti di chi combatte per la propria dignità. Non vi può essere pace senza giustizia, né giustizia senza verità.

E qui ritorna il ruolo della cultura, e del cinema in particolare: non può e non deve dimenticare la propria forza, non solo simbolica, nel perseguire questi valori.

Venezia dimostra che la cultura non è mai neutra: o contribuisce a rafforzare la convivenza civile, o diventa terreno di manipolazione e scontro.

Mai come oggi, anche e soprattutto a Venezia, la cultura deve ricordarci che responsabilità e verità sono l’unico cammino verso la pace.

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