Parcheggi pubblici: il Consiglio di Stato sui confini tra vincoli urbanistici ed esproprio

Agosto 28, 2025 - 16:30
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Parcheggi pubblici: il Consiglio di Stato sui confini tra vincoli urbanistici ed esproprio

lentepubblica.it

Con la sentenza numero 5538/2025, il Consiglio di Stato chiarisce i confini tra vincoli urbanistici ed esproprio in materia di parcheggi pubblici e rispetto della proprietà privata.


La destinazione di un terreno a parcheggio pubblico non equivale a un esproprio. Con la sentenza n. 5538 del 25 giugno 2025, il Consiglio di Stato ha chiarito che l’inserimento di un’area privata all’interno di un piano urbanistico con funzione di parcheggio non determina di per sé la perdita della proprietà da parte del titolare. Non si tratta, dunque, di una misura ablativa, ma di un vincolo “conformativo”, ossia di una regola che disciplina l’utilizzo del suolo in funzione di interessi generali. Tale scelta urbanistica non genera automaticamente il diritto a un indennizzo, né implica che il Comune debba procedere immediatamente con una procedura espropriativa.

La vicenda urbanistica

Il caso trae origine da un terreno agricolo situato accanto a un’area industriale lombarda. Nel 2017 una società privata aveva proposto al Comune una variante al piano regolatore, chiedendo di trasformare un proprio edificio produttivo in spazi direzionali. In cambio aveva offerto la realizzazione di un parcheggio pubblico su una parte del fondo confinante, di proprietà di un soggetto terzo. Le trattative, però, non andarono in porto e l’accordo saltò. Nonostante ciò, l’amministrazione decise comunque di mantenere il progetto del parcheggio nella variante urbanistica approvata l’anno successivo, individuando circa 7.000 metri quadrati destinati alla sosta.

La proprietaria dell’area contestò la decisione, ritenendo che la scelta del Comune fosse una forma indiretta di esproprio: a suo giudizio, imporre quella destinazione equivaleva a svuotare di fatto la proprietà del suo contenuto economico. Chiese quindi l’annullamento della previsione o, in subordine, la definizione di diritti edificatori compensativi. Le osservazioni furono respinte e la variante entrò in vigore.

Il contenzioso giudiziario

Il caso arrivò davanti al TAR Lombardia, che nel 2022 confermò la legittimità della variante urbanistica. Secondo i giudici di primo grado, l’amministrazione aveva agito nell’ambito della propria discrezionalità pianificatoria, esercitando un potere che le consente di stabilire l’uso dei suoli in base alle necessità collettive. La realizzazione di un parcheggio, in un’area già congestionata e carente di spazi di sosta, era stata ritenuta una scelta ragionevole e coerente con l’interesse pubblico.

Il TAR osservò inoltre che l’amministrazione non è tenuta a fornire una risposta analitica e dettagliata a tutte le osservazioni dei privati durante i procedimenti urbanistici, trattandosi di atti generali e non di provvedimenti rivolti a singoli cittadini.

Non soddisfatta, la proprietaria impugnò la sentenza davanti al Consiglio di Stato, sostenendo che il vincolo avesse in realtà natura espropriativa e denunciando la mancanza di criteri chiari sulle eventuali compensazioni urbanistiche.

La posizione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, precisando alcuni aspetti centrali. Anzitutto, la qualifica di “parcheggio pubblico” riguarda la funzione dell’opera, cioè la sua destinazione all’uso collettivo, e non la titolarità del bene. Ciò significa che il parcheggio può essere costruito direttamente dal proprietario, da un soggetto privato che acquisisca i diritti sull’area, oppure dallo stesso Comune. Solo in quest’ultimo caso scatterebbe un vero procedimento espropriativo, con l’obbligo di corrispondere un indennizzo.

Nel frattempo, però, il terreno rimane utilizzabile dal proprietario, che può continuare a coltivarlo o impiegarlo in qualsiasi attività compatibile con la futura destinazione. La previsione urbanistica, quindi, non annulla il diritto di proprietà, ma ne regola soltanto l’uso in vista di un interesse collettivo.

Il Consiglio di Stato ha anche chiarito la portata dei cosiddetti “servizi costruiti”, un istituto che consente di soddisfare gli standard urbanistici attraverso opere di interesse pubblico realizzate da soggetti privati. Si tratta di un meccanismo pensato per bilanciare nuove edificazioni e dotazioni collettive, e non di uno strumento di compensazione per un esproprio già avvenuto.

Una conferma della giurisprudenza

La decisione si colloca nel solco di un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa: i vincoli urbanistici che attribuiscono a un’area una destinazione di interesse pubblico non equivalgono, di per sé, a un esproprio. Soltanto quando l’amministrazione decide di acquisire materialmente il fondo, attraverso la procedura prevista dalla legge, maturano i diritti all’indennizzo o ad altre forme di ristoro.

In questo caso, il Consiglio di Stato ha quindi confermato la sentenza di primo grado, respingendo l’appello della proprietaria. Le spese legali del giudizio sono state compensate tra le parti, in ragione della complessità e della particolarità della materia affrontata.

Il testo della Sentenza

Qui il documento completo.

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