Paul McCartney e l'AI: il silenzio dell'artista nell'epoca della sua riproducibilità tecnica

Un silenzio che fa rumore. È quello dell'ultimo brano di Paul McCartney, muto, in segno di protesta contro l'uso dell'intelligenza artificiale in campo musicale. Con la traccia (intitolata semplicemente bonus track), delle durata di 2 minuti e 45 secondi, l'ex Beatle interrompe così il proprio silenzio autoriale che durava da cinque anni dandogli per paradosso continuità: aggiungendo un'altra porzione di silenzio, ma ben delimitata, attiva.

A livello artistico, l'operazione di McCartney ha un importante precedente nel campo musicale, ovvero la celebre 4'33" di John Cage del 1952. Anche il quel caso, il silenzio non era proprio intatto: così il pezzo di McCartney è in realtà attraversato dal fruscio di un nastro (opzione decisamente didascalica per evocare una musicassetta che sbobina il proprio contenuto) e da un'occasionale rumore metallico. McCartney, 83 anni e attualmente in tour in Nord America, ha aggiunto la traccia al lato B di un LP intitolato Is This What We Want? (È questo ciò che vogliamo?), che contiene altri brani che fanno perno sul silenzio, anche se in maniera meno radicale. L'album sarà stampato su vinile e uscirà alla fine del mese.

L'intenzione autoriale, però, è diversa: Cage, che ha definito l'opera come la sua creazione più importante, voleva sottolineare l'importanza strutturale del silenzio all'interno della propria architettura musicale, metterlo in evidenza come in un negativo fotografico. Il silenzio di McCartney è invece politico, di protesta, all'opposto del luogo comune che traduce il silenzio in assenso: qui invece silenzio equivale a dissenso. Il silenzio diventa l'ultimo spazio abitabile dall'artista, quello da cui l'AI non può estrarre valore, metriche: può essere replicato, certamente, ma a dargli valore è la firma, la dimensione autoriale.

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