Serbia. L’Ue gioca con il fuoco

di Silvano Danesi * –
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, mentre Belgrado è infiammata dalle proteste antigovernative, ha intimato all’occidente di non intervenire in Serbia con “rivoluzioni colorate”, sul modello di quelle che, secondo Mosca, avrebbero abbattuto i governi in Ucraina e Georgia.
La Serbia, sebbene abbia avviato i negoziati di adesione all’Unione Europea nel 2019, non si è allineata alle sanzioni che l’Europa ha messo sulla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. I rapporti tra Serbia e Russia sono buoni. Putin ha apprezzato la decisione e non ha mai nascosto che il rapporto di amicizia con Vucic possa rappresentare un punto di riferimento nei Balcani e una testa di ponte verso l’occidente. Una relazione privilegiata, alimentata anche da aiuti energetici importanti come quello del gas elargito alla Serbia a partire dal 2022 a tariffe vantaggiose. Non è un caso che Vucic fosse invitato alla parata del 9 maggio a Mosca per il giorno della vittoria.
L’area è ad alto rischio. In Kosovo infatti è presente la principale base militare statunitense: Camp Bondsteel, situata vicino a Ferizaj (Uroševac) nel sud-est del Kosovo. È una delle più grandi basi militari Usa in Europa, costruita nel 1999 dopo la guerra del Kosovo, e funge da quartier generale del Regional Command-East della Kosovo Force (Kfor), missione Nato autorizzata dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
La base ospita tra 600 e 1.500 militari americani, insieme a truppe di altri paesi Nato come Italia, Grecia, come centro operativo per la Kfor, con compiti di mantenimento della pace, sicurezza e stabilità nella regione, in un contesto di tensioni etniche tra albanesi e serbi. È anche un hub logistico per operazioni Nato nei Balcani.
La guerra del Kosovo (1998-1999), alla quale partecipò l’Italia (governo D’Alema-Mattarella), è stata un conflitto tra la Repubblica Federale di Jugoslavia (principalmente Serbia) e l’Esercito di Liberazione del Kosovo (Kla), un gruppo separatista albanese che cercava l’indipendenza per il Kosovo.
Nel marzo 1999 la Nato lanciò l’Operazione Allied Force, una campagna di bombardamenti di 78 giorni contro la Jugoslavia senza l’approvazione dell’Onu, per fermare le violazioni dei diritti umani serbe contro gli albanesi del Kosovo. La campagna si concluse con l’Accordo di Kumanovo il 9 giugno 1999, che portò al ritiro delle forze jugoslave e all’istituzione di una missione di amministrazione Onu (Unmik) in Kosovo.
La guerra causò circa 13mila morti (soprattutto civili albanesi), sfollamenti di massa (800mila albanesi e 230mila serbi e rom) e ingenti distruzioni, anche a causa dell’uso di munizioni all’uranio impoverito da parte della Nato.
Oggi, dietro le quinte, si agitano interessi strategici commerciali.
Attraverso la Serbia passa il Corridoio Paneuropeo X, un’importante arteria di trasporto che collega l’Europa occidentale ai Balcani e oltre. Questo corridoio fa parte di una rete di infrastrutture progettata per facilitare il commercio, il trasporto di merci e persone, e l’integrazione economica tra i paesi europei.
Il Corridoio X si estende da Salisburgo (Austria) a Salonicco (Grecia), passando attraverso Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia del Nord. In Serbia, attraversa città chiave come Belgrado, Niš e Leskovac.
La Serbia, grazie alla sua posizione geografica strategica, è un nodo cruciale per i collegamenti tra l’Europa occidentale, i Balcani e il Medio Oriente. Il corridoio supporta il trasporto su strada, ferrovia e, in parte, fluviale (tramite il Danubio, parte del Corridoio Paneuropeo VII).
Il Corridoio include autostrade (come l’autostrada A1 in Serbia), linee ferroviarie (es. Belgrado-Niš) e interporti per il trasporto intermodale. Recentemente, sono stati avviati progetti per modernizzare le infrastrutture, come il corridoio ferroviario Belgrado-Cervignano (Italia), operativo da settembre 2023, che collega il Friuli Venezia Giulia alla Serbia per il trasporto di merci, soprattutto prefabbricati per grandi opere civili.
La Serbia è coinvolta anche in iniziative come il corridoio italo-serbo (Cervignano-Belgrado), che mira a potenziare gli scambi commerciali tra Italia e Balcani, e il Corridoio XI (Bari-Belgrado-Timisoara), che collega il porto di Bari alla Serbia e al Montenegro tramite la linea ferroviaria Belgrado-Bar.
Come si può ben capire, l’Italia è fortemente interessata a quanto avviene in Serbia e non può essere indifferente alla possibilità che diventi un focolaio di tensioni o, peggio, un nuovo fronte di guerra.
Una Maidan serba sarebbe una sciagura e se qualcuno pensa di metterla in cantiere è solo un pazzo furioso.
La Serbia è un partner della Cina nell’ambito della Belt and Road Initiative, con investimenti in infrastrutture come la ferrovia ad alta velocità Belgrado-Budapest, che collega la Serbia all’Asia centrale e orientale.
Il Danubio, che attraversa la Serbia, è un’importante via commerciale per il trasporto di merci verso il Mar Nero e l’Europa centrale.
Ecco il motivo per il quale le proteste di studenti e cittadini serbi contro il presidente Vucic provocano un ulteriore allarme per i rapporti già tesissimi tra Russia e Unione Europea e anche per il fatto che mentre la Russia intensifica gli attacchi contro l’Ucraina e i negoziati di pace finiscono su un binario morto, nel cuore d’Europa sembra surriscaldarsi quest’altro fronte.
Mai dimenticare che i Balcani sono, da sempre, una polveriera capace di incendiarsi.
L’avvertimento del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che ha intimato all’Occidente di non intervenire in Serbia con “rivoluzioni colorate”, sul modello di quelle che, secondo Mosca, avrebbero abbattuto i governi in Ucraina e Georgia, è stato rilanciato da Budapest che ha accusato Bruxelles di “sostenere apertamente i tentativi di cambio di regime guidati da forze straniere nei paesi dell’Europa centrale a leadership sovranista”.
A margine della conferenza delle Nazioni Unite sul finanziamento allo sviluppo in corso a Siviglia il Presidente serbo ha ringraziato “gli amici russi” per aver notato quello che sta accadendo nel suo Paese e a Sergej Lavrov “per aver compreso perfettamente la situazione”. “Io combatterò per la libertà della Serbia e non lascerò mai il mio Paese nelle mani dei peggiori”. Vucic ha aggiunto che il potere in Serbia si conquisterà alle elezioni e soltanto quando le autorità competenti le convocheranno, “non quando una banda di teppisti lo richiederà”.
L’Unione Europea nega “ogni incoraggiamento di qualsiasi protesta antigovernativa in qualsiasi parte del mondo, non solo in Serbia”, anche se poco prima l’Ue aveva condannato “tutti gli atti di odio e violenza, il diritto alla manifestazione pacifica deve essere rispettato in Serbia, l’azione della polizia deve essere proporzionata nel rispetto di tali atti e dei diritti, compresi quelli di tutti coloro che sono detenuti”. “Ci aspettiamo un’indagine rapida, trasparente e credibile sulle accuse di uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine” e “anche che il giusto processo sia garantito per tutti coloro che sono stati arrestati nel contesto della protesta. I valori fondamentali, inclusa la libertà di riunione “sono al centro del progetto europeo e devono essere pienamente rispettati”.
Da mesi centinaia di migliaia di studenti e cittadini da ogni parte del paese sono scesi in piazza sfidando il sistema di potere di Vucic e chiedendo elezioni anticipate. La scintilla che ha dato il via alle proteste, le più grandi nella storia della Serbia, è stato il crollo, nel novembre dello scorso anno, di una pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad che provocò sedici morti.
Un episodio assurto a simbolo della corruzione sistemica del governo al potere. Domenica scorsa la situazione è precipitata: 48 feriti tra gli agenti di polizia, 22 tra i manifestanti. E 77 arresti, il numero più grande da quando sono esplose le proteste.
Per tutta la giornata di lunedì si sono ripetute azioni di protesta analoghe a quelle di domenica da parte di gruppi di studenti, appoggiati da sostenitori dell’opposizione. In particolare a Belgrado e nel sobborgo di Zemun, sul Danubio, sono stati bloccati temporaneamente importanti incroci stradali, con l’impiego di cassonetti della spazzatura e altro materiale. Gli agenti hanno regolarmente rimosso i blocchi, fermando i dimostranti. Non si sono registrati incidenti di rilievo.
A più riprese le autorità hanno ribadito il diritto di tutti a manifestare e a protestare pacificamente, sottolineando tuttavia come siano inaccettabili e illegali azioni che mirano a interrompere la circolazione, il trasporto pubblico e le normali attività quotidiane dei cittadini. Gli studenti – che chiedono elezioni anticipate – hanno deciso di attuare i blocchi stradali, improvvisi e non annunciati, per protesta contro l’arresto di decine di dimostranti nel corso dei violenti scontri con la polizia nella tarda serata di sabato a Belgrado, al termine di una pacifica manifestazione antigovernativa, con la partecipazione di decine di migliaia di persone. Per loro sono state annunciate pene esemplari, e nessuna grazia come avvenuto nei mesi scorsi in occasioni analoghe.
* Articolo in mediapartnership con Nuovo Giornale Nazionale.
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