Dall’Università dell’Insubria un viaggio storico dedicato al concetto di benessere nella cultura britannica

Fino al XVII secolo, in Gran Bretagna della parola “wellbeing”, o benessere, non c’era traccia. Arrivò nel 16511 grazie a un testo di Baldassarre Castiglioni in cui si dava merito alle donne che si occupavano del benessere del loro gruppo famigliare. Erano loro infatti, a occuparsi sia di cucinare sia di preparare i rimedi per le malattie.
È questa una delle tante curiosità uscite dai un progetto di ricerca interuniversitario «Discorsi e contesti del benessere nella storia della lingua inglese», finanziato dal Ministero dell’Università e della ricerca nell’ambito dei Progetti di rilevante interesse nazionale Prin2022. L’iniziativa ha riunito studiosi e studiose provenienti da quattro atenei: Bergamo, Firenze, Insubria e Milano.
Oggi, nella sede di Villa Toeplitz dell’Università dell’Insubria si è svolta la prima delle due giornate di convegno per presentare i risultati condotti dai diversi gruppi, ciascuno dedicato a un ambito diverso.
Nel corso dei due anni di attività, il gruppo di ricerca ha esplorato come il concetto di benessere sia stato espresso, narrato e negoziato nei testi inglesi dal passato all’età contemporanea. L’analisi ha coinvolto aree diverse: divulgazione scientifica, stampa e partecipazione civica, manuali educativi, testi dedicati al tempo libero. L’obiettivo è stato quello di ricostruire l’evoluzione di idee, pratiche, linguaggi e rappresentazioni del benessere e valutarne l’impatto sui discorsi pubblici, sulle abitudini sociali e sulle forme di partecipazione civile.
All’Università dell’Insubria la professoressa Alessandra Vicentini, docente di lingua inglese, ha diretto il lavoro di ricerca improntato sul benessere di tipo sanitario.
«L’intento collettivo – spiega Alessandra Vicentini – è stato quello di mostrare come il benessere non sia un concetto neutro, ma una costruzione culturale e linguistica che cambia nel tempo: studiarlo attraverso i testi dei mondi inglesi significa capire come le società abbiano rappresentato, narrato e trasmesso l’idea stessa di “stare bene”, e come ciò continui a influenzare il nostro presente».
Il responsabile scientifico nazionale è il professor Giovanni Iamartino dell’Università degli Studi di Milano. Le responsabili delle unità locali sono Marina Dossena dell’Università degli Studi di Bergamo, Christina Muriel Samson dell’Università degli Studi di Firenze e Alessandra Vicentini, docente di lingua inglese dell’Università dell’Insubria.

Dall’individuo alla collettività: il benessere nella storia
I risultati del lavoro offrono uno spaccato sorprendente: se in origine il benessere veniva inteso come forza morale e salute interiore, nel corso del Settecento e Ottocento ha assunto un significato sempre più sociale e collettivo, diventando oggetto di attenzione anche da parte delle istituzioni. Una trasformazione che ha trovato espressione anche nella definizione fornita nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui il benessere è un equilibrio tra salute fisica, mentale, sociale e spirituale.
«Oggi – ha sottolineato Vicentini – il termine wellbeing è usato per indicare un concetto multidimensionale: parlare di benessere significa parlare anche di cultura, linguaggio, relazioni, qualità della vita. E proprio per questo è un tema di grande attualità, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU».
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