Il compromesso al ribasso della Cop30, e l’innominabile transizione dal fossile

Novembre 23, 2025 - 07:30
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Il compromesso al ribasso della Cop30, e l’innominabile transizione dal fossile

«So che molti di voi avevano ambizioni più grandi». Si è presentato così, nella plenaria conclusiva del vertice, il presidente della Cop30 sul clima di Belém, André Corrêa do Lago. Il diplomatico brasiliano si riferiva implicitamente alla coalizione composta da più di ottanta Paesi che, un po’ a sorpresa, ha unito le forze per sostenere una road map per abbandonare rapidamente e concretamente le fonti energetiche fossili, principali responsabili del cambiamento climatico. Colombia e Paesi Bassi hanno persino annunciato la prima Conferenza internazionale sulla giusta transizione dai combustibili fossili, che si terrà a Santa Marta il 28 e 29 aprile 2026. 

Italia, Polonia e Ungheria sono stati gli unici Paesi europei a non sostenere una tabella di marcia che avrebbe alzato l’asticella dell’ambizione climatica globale, dando un segnale forte agli Stati Uniti di Donald Trump (che non hanno inviato a Belém funzionari di alto livello). Le resistenze dei Paesi Brics e del Golfo hanno fatto il resto, e alla fine questa Cop ha prodotto un testo finale – la cosiddetta Mutirão Decision – privo di menzioni esplicite ai combustibili fossili e al loro phase-out. Non ci sono date, non ci sono target concreti e misurabili. 

C’è chi lo reputa un passo indietro, c’è chi lo vede come un compromesso – nato anche grazie agli sforzi dell’Unione europea nelle fasi finali del negoziato – capace di mantenere viva la promessa della Cop28 di Dubai: procedere verso un allontanamento («transitioning away») da gas, carbone e petrolio. 

Il testo finale ha ribadito l’importanza di allineare i Paesi verso l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050 e di rientrare nella soglia del grado e mezzo, ormai impossibile da rispettare. Il documento conclusivo contiene anche riferimento a una “Road map to Mission 1.5”, ma – come anticipato – non cita le fonti di energia su cui intervenire (e da sostituire) per sperare di non oltrepassare il principale limite di sicurezza messo nero su bianco dieci anni fa dall’accordo di Parigi.

È stata una Cop piena di contraddizioni, in linea con il governo del Paese ospitante. Da un lato, le trattative si sono sono svolte in modo poco trasparente, spesso a porte chiuse. Dall’altro, la nascita di nuove coalizioni estranee ai classici blocchi negoziali – con Stati del Global North e del Global South – è un segno di grande reattività della cooperazione multilaterale sul clima. Molti Stati hanno mostrato la concreta volontà politica di continuare a lavorare autonomamente (anche su scala nazionale) nell’ottica di una vera transizione dalle fonti fossili, colmando i limiti negoziali delle Cop (che andrebbero, una volta per tutte, riformate). 

E poi c’è stato l’incendio di giovedì, che ha riportato l’attenzione mediatica su un negoziato che – nonostante tutto – è riuscito a superare la rassegnazione lasciata dalle ultime tre Cop organizzate nei “petrostati”: Egitto, Emirati Arabi e Azerbaigian.

L’accordo finale non era affatto scontato, soprattutto dopo la delusione successiva alla bozza di testo priva di qualsiasi riferimento alle fonti fossili. Di positivo c’è l’intesa sui finanziamenti (dovranno essere triplicati) per l’adattamento climatico dei Paesi più esposti al riscaldamento globale, ma l’obiettivo sui centoventi miliardi di dollari l’anno («tripling the doubling») è stato posticipato di cinque anni, al 2035.

Secondo Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore del think tank italiano ECCO, «il risultato di questa Cop è un testo di compromesso che dà una prima risposta, non scontata nell’attuale contesto geopolitico, di come colmare il divario tra le politiche attuali e l’obiettivo di 1.5°C. Bene il ruolo dell’Europa nel portare tutti i Paesi ad accettare un aumento dell’ambizione. L’Accordo della COP30 riafferma innanzitutto l’Accordo di Parigi come stella polare della cooperazione internazionale e dimostra che la maggioranza dei Paesi, con l’Europa al centro, è pronto ad avviare un percorso di uscita dai combustibili fossili. Un percorso che riflette dove sta andando l’economia reale, la finanza, con gli investimenti nelle energie pulite raddoppiati nel 2024 rispetto a quelli fossili, e le richieste della società».

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Redazione Redazione Eventi e News