Intelligenza artificiale e pubblica amministrazione: verso una burocrazia intelligente
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L’introduzione dell’intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione italiana segna una fase decisiva del percorso di modernizzazione avviato con il PNRR e consolidato nel Piano Triennale per l’Informatica nella PA.
Ma l’innovazione tecnologica, da sola, non basta. La vera sfida è istituzionale e regolatoria: comprendere come inserire l’IA in un sistema amministrativo che, per garantire equità e legalità, si fonda proprio sulla burocrazia.
Intelligenza Artificiale nella PA: i principi della nuova governance
La Legge n. 132/2025 – primo testo organico sull’uso dell’intelligenza artificiale nel settore pubblico – individua obiettivi chiari: migliorare l’efficienza dei servizi, ridurre i tempi delle procedure e favorire la qualità decisionale.
Ma definisce anche vincoli precisi: trasparenza algoritmica, tracciabilità delle decisioni automatizzate e presidio umano obbligatorio. È la traduzione normativa di un principio politico essenziale: l’IA può supportare la decisione pubblica, non sostituirla.
Una strategia di policy integrata per la digitalizzazione
L’attuazione concreta di questi principi, tuttavia, richiede una strategia di policy integrata. La digitalizzazione non può limitarsi alla sostituzione di attività manuali con processi automatizzati: serve una riprogettazione organizzativa basata su interoperabilità dei dati, semplificazione procedurale e formazione del personale.
Molte amministrazioni operano ancora con architetture informatiche non comunicanti e basi dati non normalizzate: in questo contesto, anche il miglior algoritmo produce risultati parziali.
Le quattro direttrici fondamentali della trasformazione
Le politiche pubbliche dovrebbero quindi agire su quattro direttrici fondamentali.
1. Governance nazionale dell’IA pubblica
La prima è la governance nazionale dell’IA pubblica: serve un quadro unitario, coordinato da AgID e dal Dipartimento per la Trasformazione Digitale, che definisca standard, requisiti etici e modalità di valutazione degli impatti.
Oggi manca un sistema di audit algoritmico pubblico, capace di certificare trasparenza e imparzialità dei sistemi.
2. Investimento nelle competenze
La seconda è l’investimento nelle competenze. Secondo stime del Formez e del Dipartimento Funzione Pubblica, oltre il 30% delle mansioni amministrative potrà essere automatizzato nei prossimi anni.
Senza un piano di reskilling mirato, l’innovazione rischia di tradursi in marginalizzazione del personale. Occorre sviluppare percorsi di formazione tecnica e di cultura etico-giuridica dell’IA, così da trasformare i dipendenti in supervisori del processo digitale.
La mente del principiante: un’evoluzione culturale necessaria
Ma la formazione, da sola, non basta. La trasformazione digitale della PA richiede anche un’evoluzione culturale profonda.
In questo senso, può essere utile adottare il principio della “mente del principiante”: un atteggiamento di apertura e di curiosità che invita a guardare anche le attività più note con occhi nuovi, liberi da abitudini e pregiudizi.
È la disposizione di chi non presume di sapere già, ma resta disposto a imparare, a rimettere in discussione i propri schemi, a interpretare l’innovazione non come minaccia ma come opportunità di crescita personale e istituzionale.
Solo una pubblica amministrazione capace di “ricominciare da capo” nel modo di pensare il proprio lavoro potrà usare l’intelligenza artificiale in modo consapevole, etico e realmente orientato al cittadino.
3. Riorganizzazione dei processi
La terza direttrice riguarda la riorganizzazione dei processi. Automatizzare senza semplificare produce solo inefficienza più veloce.
Ogni progetto di IA nella PA deve essere accompagnato da una mappatura dei procedimenti, con l’obiettivo di eliminare ridondanze e standardizzare i passaggi che restano necessari.
Il principio deve essere chiaro: la tecnologia segue il processo, non lo crea.
4. Tutela dei dati e responsabilità
Infine, la quarta direttrice è la tutela dei dati e la responsabilità. L’IA richiede una governance solida delle informazioni pubbliche: interoperabilità, qualità, sicurezza e chiarezza dei ruoli di trattamento.
È necessario evitare sovrapposizioni normative e vuoti di responsabilità, garantendo che la gestione dei dati resti sotto controllo pubblico e conforme ai principi di legalità e trasparenza.
Intelligenza Artificiale nella PA: verso una burocrazia intelligente
Queste quattro dimensioni costituiscono la base di una burocrazia intelligente, non ridotta ma rinnovata.
La burocrazia, infatti, resta una forma di razionalità amministrativa: stabilisce regole, garantisce tracciabilità e previene arbitri. L’IA non deve sostituirla, ma potenziarla, rendendola più capace di analizzare dati, valutare scenari e rispondere ai cittadini in modo tempestivo e personalizzato.
innovazione e legalità
Il dibattito, quindi, non dovrebbe essere tra “liberazione” e “burocrazia”, ma tra burocrazia rigida e burocrazia intelligente.
La prima rallenta, la seconda governa l’innovazione. L’intelligenza artificiale potrà essere una reale leva di liberazione solo se inscritta in un disegno amministrativo coerente: un equilibrio tra automazione e controllo, efficienza e responsabilità, velocità e garanzie.
In questo senso, la burocrazia non è l’opposto del progresso, ma la sua condizione di legittimità.
Una PA che adotta l’IA senza regole è più veloce, ma anche più fragile; una PA che la governa con trasparenza è più lenta all’inizio, ma più giusta e sostenibile nel tempo.
La direzione da prendere non è abolire la burocrazia, ma dotarla di intelligenza – artificiale e istituzionale – e di quella mente del principiante capace di apprendere, adattarsi e innovare, affinché la trasformazione digitale resti sempre al servizio del cittadino e del principio di legalità.
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