Cannabis light, Italia finisce davanti alla Corte UE: Consiglio di Stato solleva dubbi
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Con un’ordinanza recente, il Consiglio di Stato ha deciso di interrompere il proprio giudizio su un ricorso presentato da tre ministeri — Agricoltura, Ambiente e Salute — per rimettere alla Corte di Giustizia dell’UE una questione che potrebbe ridisegnare l’intero quadro regolatorio della “cannabis light” in Italia.
Il tema al centro della disputa è l’apparente conflitto tra la disciplina nazionale, che continua a trattare foglie e infiorescenze come sostanze stupefacenti, e le norme comunitarie dedicate alla libera circolazione dei prodotti agricoli.
Il contenzioso nasce dal decreto sulle piante officinali, provvedimento pensato per individuare l’elenco delle specie utilizzate in erboristeria, cosmetica e nelle lavorazioni aromatiche. Il testo, pur richiamando le classificazioni già presenti nella farmacopea europea, fa un’eccezione rilevante: separa la canapa in due ambiti distinti, attribuendo semi e fibre al settore delle colture industriali e relegando invece fiori e foglie nell’elenco delle sostanze sottoposte alla normativa sugli stupefacenti. Una scelta che le imprese del comparto contestano da anni, ritenendola incoerente con i regolamenti europei e penalizzante per un settore che in molti Paesi dell’Unione opera liberamente.
Secondo il Consiglio di Stato, tale impostazione potrebbe porsi in contrasto con il diritto dell’Unione. Per questo i giudici amministrativi hanno formulato una serie di quesiti alla Corte di Lussemburgo, chiedendo chiarimenti sul rapporto tra la normativa italiana e i principi che governano il mercato comune.
Il nodo centrale: per l’Unione Europea la canapa è una coltura agricola unica
La prima questione posta ai giudici europei riguarda la natura stessa della pianta. I regolamenti della Politica Agricola Comune considerano la canapa iscritta nel catalogo europeo delle varietà agricole come un unico prodotto, indipendentemente dalla parte vegetale da cui si ricavano semi, fibre, foglie o infiorescenze. L’unico parametro di rilevanza è il contenuto di THC, che deve rimanere entro i limiti fissati dall’UE.
Da qui il dubbio: può uno Stato membro proibire completamente l’utilizzo di fiori e foglie provenienti da varietà certificate e con un tenore di principio attivo al di sotto delle soglie europee, mentre permette l’impiego industriale di semi e fibre della stessa pianta? La domanda, in sostanza, mira a capire se sia legittimo classificare come “stupefacente” solo una porzione della coltura, quando la normativa europea non fa alcuna distinzione interna.
Uso, commercio e libertà di circolazione: il cuore del conflitto normativo
La seconda serie di quesiti interroga la Corte sul tema dell’accesso al mercato. Il Consiglio di Stato chiede se l’ordinamento europeo consenta a un Paese di bloccare produzione e vendita di infiorescenze, estratti e derivati — compresi quelli ricchi di CBD — quando il contenuto di THC è estremamente basso e privo di effetti psicotropi. La questione è delicata perché, in molti Stati membri, tali prodotti sono pienamente legali e rappresentano un segmento economico in rapida crescita.
Un eventuale divieto italiano, osserva il Consiglio di Stato, potrebbe costituire una restrizione ingiustificata alla libera circolazione delle merci, principio cardine dei Trattati europei. Se la Corte di Giustizia dovesse riconoscere la violazione di questo principio, i giudici nazionali sarebbero obbligati a non applicare le norme interne incompatibili, comprese le interpretazioni del Testo Unico sugli stupefacenti che continuano a considerare il fiore di canapa industriale come una sostanza proibita.
Cosa potrebbe accadere dopo la decisione di Lussemburgo
In attesa della pronuncia europea, il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio, rinviando ogni valutazione al momento in cui la Corte si sarà espressa. Una scelta analoga è stata adottata in un procedimento parallelo, segno di quanto il tema sia cruciale per l’intero sistema normativo italiano.
Le ricadute della futura decisione potrebbero essere molto ampie. Se i giudici europei dovessero ritenere illegittimo l’impianto italiano, il Governo sarebbe costretto a riformare una disciplina che, di fatto, equipara la cosiddetta cannabis light alle sostanze stupefacenti, nonostante l’assenza di effetti psicotropi. Un cambiamento che inciderebbe profondamente sia sul piano economico, offrendo finalmente certezza a un settore produttivo che da anni chiede regole chiare, sia sul piano giuridico, ponendo fine a una lunga stagione di interpretazioni divergenti e contenziosi.
La partita, dunque, si sposta a Lussemburgo. E la risposta della Corte di Giustizia potrebbe ridefinire il futuro dell’intera filiera della canapa industriale in Italia.
Il testo della sentenza del Consiglio di Stato
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