“La scuola postmoderna”: a San Giorgio Morgeto un dialogo sulla nuova sfida educativa
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Con il patrocinio dell’Amministrazione comunale, nella suggestiva cornice del Convento dei Domenicani di San Giorgio Morgeto, il 5 novembre scorso si è tenuta la presentazione del volume “La scuola postmoderna” di Chiara Ortuso, docente del Liceo “Pizi” di Palmi.
L’evento, che ha suscitato grande interesse nel panorama culturale locale, si è aperto con i saluti istituzionali del Sindaco dott. Salvatore Valerioti, dell’assessora alla Cultura Tina Gullone e del dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo dott. Giuseppe Eburnea. La serata, brillantemente condotta dalla dott.ssa Maria Concetta Valotta, è stata arricchita dall’intervento della dott.ssa Anna Maria Cama, dirigente del Polo tecnico-professionale “Righi–Boccioni–Fermi” di Reggio Calabria, che ha sapientemente illustrato le complesse tematiche affrontate nel volume.
A seguire, l’Avv.ta Francesca Orefice, che ha curato una puntuale e incisiva recensione del libro, ha dialogato con l’autrice approfondendo i contenuti filosofici e pedagogici del testo, nel quale la riflessione sul ruolo del docente contemporaneo si intreccia con la riscoperta della “libido sciendi” — quella passione conoscitiva che unisce insegnamento e apprendimento in una dimensione profondamente umana, emozionale e consapevole.
La scuola postmoderna di Chiara Ortuso: educare alla complessità del reale
Tra le numerose e preziose indicazioni che Chiara Ortuso tratta nel suo volume “La scuola postmoderna”, una delle più incisive riguarda l’approccio alla conoscenza della realtà. La scuola contemporanea deve superare la tentazione di ridurre la conoscenza a formule ripetibili e a modelli già verificati. Tale riduzionismo, apparentemente rassicurante, sottrae agli studenti la possibilità di confrontarsi con l’incertezza e la multidimensionalità del reale.
Così Francesca Orefice nella sua recensione:
La realtà viene interrogata per ciò che può rappresentarsi ripetibile… comporta la rinuncia alla complessità del reale che, al contrario, agisce dentro una trama articolata di agenti e eventi collegati in rete.
Educare alla complessità significa dunque offrire strumenti per leggere i fenomeni non come segmenti isolati, ma come parti di una rete dinamica di relazioni. In un mondo che muta alla velocità del digitale, il sapere non può essere trasmesso come pacchetto statico, ma costruito come esperienza critica e dialogica.
La scuola, in quest’ottica, deve diventare laboratorio di pensiero aperto, dove l’errore è occasione di crescita e la ricerca è più importante della risposta. Solo così i giovani potranno sviluppare una mente flessibile, capace di interpretare il reale nella sua varietà e nel suo movimento continuo.
Recuperare il senso della fragilità
Altro tema molto importante e attuale è quello dell’approccio alla fragilità. Nella società liquida, dove tutto tende alla velocità, all’efficienza e alla performance, la fragilità è percepita come debolezza da nascondere. Al contrario, Ortuso propone di rileggerla come valore fondativo dell’esperienza educativa. Riconoscere la propria fragilità significa accettare i limiti, le incertezze e le cadute come parte integrante del processo di conoscenza e di crescita.
Ancora Orefice:
Recuperare il senso della fragilità… significa tensione e flessibilità alla comprensione dell’essenza umana.
È attraverso la consapevolezza della vulnerabilità che si impara a comprendere l’altro, a esercitare empatia, a coltivare la cura. La scuola, allora, dovrebbe insegnare non solo a “saper fare”, ma anche a “saper essere”, restituendo dignità alla dimensione emotiva e relazionale dell’apprendimento. Educare alla fragilità significa educare alla resilienza, alla solidarietà e alla responsabilità: virtù indispensabili per abitare il mondo con umanità e consapevolezza.
Ragionare insieme per il futuro della missione educativa
L’incontro dedicato a La scuola postmoderna ha ospitato anche una disputatio filosofica tra due studenti del Liceo “Pizi” di Palmi, rivelandosi un momento di autentico dialogo culturale e umano, capace di restituire alla scuola il suo valore più profondo: quello di luogo vivo, in cui la conoscenza diventa relazione e il sapere si fa esperienza condivisa.
Il messaggio che Chiara Ortuso affida al suo libro è un invito a riscoprire la missione educativa come atto d’amore consapevole, in cui insegnare significa mettersi in ascolto, guidare con passione e credere nella forza trasformativa della cultura. Un richiamo, dunque, a una scuola che non si limiti a trasmettere nozioni, ma che sappia generare coscienze, accendere curiosità e costruire umanità, rinnovando ogni giorno la propria vocazione alla bellezza del sapere.
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