Meloni arranca sul carro dei volenterosi europei, Schlein non pervenuta

Agosto 19, 2025 - 10:00
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Meloni arranca sul carro dei volenterosi europei, Schlein non pervenuta

Giorgia Meloni, non solo per responsabilità sua, è l’ultima ruota del carro. Ma è importante che ci resti attaccata, a quel carro chiamato Europa. In queste ore – al netto della totale imprevedibilità della guerra della Russia all’Ucraina – è accaduto un fatto epocale: l’Europa liberale, popolare, laburista, finanche conservatrice ha cementato un grado di unità che non si vedeva da decenni, e su una questione di alta intensità morale come la resistenza al neo-imperialismo.

Per anni si è lamentato che l’Europa non fosse in grado di parlare con una voce sola. A Washington lo sta facendo, paradossalmente con un coro che intona la stessa canzone: Vladimir Putin non deve averla vinta. È una novità dirompente. Dal punto di vista della storia europea, per importanza il 2025 può diventare secondo solo al 1989. «Ovviamente l’Italia c’è, come c’è sempre stata in questi tre anni e mezzo», ha detto Meloni a Washington: non è vero, «in questi tre anni» l’Italia c’è stata e non c’è stata, speriamo sia definitivamente arrivata adesso.

Seppure tardivamente, ora la presidente del Consiglio ha sospinto l’Italia in questo inedito vortice europeista, dal quale sono escluse le forze reazionarie, populiste e della sinistra radicale. Se non lo avesse fatto, avrebbe ridotto Roma a una bella ma inutile copia di Budapest (Viktor Orbán è come il suo adepto Matteo Salvini: dà fastidio, ma non conta niente).

Il rischio c’era perché lei viene dalla cultura post-fascista, un’antenata di Visegrad, il gruppo dell’Est europeo che dettava legge un po’ di anni fa: reazionari, antieuropeisti, nazionalisti. Giorgia Meloni è stata tutte queste tre cose, ma adesso non la si può definire una reazionaria pura né un’antieuropeista com’era due anni fa: ormai partecipa alla coalizione dei Volenterosi guidata dal liberale Emmanuel Macron, dal laburista Keir Starmer e dal popolare Friedrich Merz.

Lo avesse fatto dall’inizio, invece di fare la piccola fiammiferaia del trumpismo, sarebbe stato meglio per la credibilità dell’Italia e anche per lei, che a Parigi, e forse Berlino e Londra, è ancora considerata non del tutto affidabile.

Le dà enorme fastidio che Macron voglia essere il leader dell’Europa: ma è un fatto che il presidente francese sia arrivato molto prima e con maggior forza, laddove lei sta planando oggi. Tra i due la storia sta dando ragione a Parigi, e questo Giorgia non lo sopporta.

Il prossimo duello sarà sull’invio dei soldati europei sul terreno ucraino, se e quando si entrerà in una fase nuova. Certamente la presidente del Consiglio è rimasta una nazionalista, perché da una parte questo è proprio nel Dna dei post-fascisti e il Dna non muta se non dopo molte generazioni; e poi perché l’aria del tempo è sempre impregnata di nazionalismo e avvolta nel culto della forza, e figurarsi se lei si mette di traverso agli orientamenti di massa.

Se questa è la cornice ideologica della presidente del Consiglio italiana, c’è evidentemente spazio per una correzione della sua politica estera: se solo di facciata e temporanea lo vedremo presto, ma per adesso la cosa va valorizzata.

Forse è anche sfruttando il fatto di contare poco o nulla che Meloni, in modo un po’ inosservato, sta sposando la causa europea, mettendo da parte gli scetticismi e l’ostilità che resta in capo al solito Salvini, totalmente isolato dal duo Meloni-Tajani nella sua paranoia orbano-vannacciana.

Fa male la sinistra a non rilevare lo spostamento di Meloni sull’asse europeista. Per mesi e mesi la si è accusata, e con validi motivi, di essere fuori dall’Europa politica; ora che vi entra bisognerebbe riconoscerglielo: non è ciò che si voleva? Anzi, bisognerebbe farle rilevare di aver cambiato linea, cosa che a un politico dà sempre fastidio.

Ma il fatto è che la sinistra, da una parte, non vuole mai riconoscere un qualche merito alla sua avversaria, il che fa parte del gioco della propaganda ma non della politica. Dall’altro – e qui parliamo soprattutto del tripartito Pd-M5s-Avs – perché in fondo a loro dell’europeismo trainato da Macron e Starmer non frega niente, anzi, rappresenta una variante moderata della destra e comunque un elemento rafforzativo della linea autonomista e riarmista che Schlein e Conte aborrono.

Solo i poveri riformisti del Pd hanno ben compreso il cambio di Meloni: «Meglio tardi che mai», ha detto Lorenzo Guerini. Non è la linea del Partito democratico, sempre uguale a se stessa qualunque cosa accada. Si vede qui tutta la difficoltà del Pd a fare politica, non sapendo sfruttare ogni minimo mutamento della situazione. In fondo non sarebbe difficile dire: vedete, era giusta la nostra linea europeista, critica verso Trump e di pieno sostegno all’Ucraina e ai Volenterosi.

Macché. Con quell’aria sempre tra lo scettico e l’antagonista, in queste ore la sinistra italiana sta clamorosamente mancando il cimento sui fatti epocali della storia, dedicandosi alla cronaca minore e grottesca di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca.

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Redazione Redazione Eventi e News