Perché l’Italia non s’è desta
AGI - Il giornalista e opinionista Pietro Senaldi e l’esperto di strategie industriali e docente universitario Giorgio Merli sono da poco arrivati nelle librerie con ‘Sveglia! Le bugie che ci impoveriscono. Le verità che ci arricchiranno’ (Marsilio), saggio ‘apolitico’ (come dichiarato dallo stesso condirettore di Libero) che mira a denunciare le erronee quanto generalizzate credenze che impediscono all’economia italiana di abbandonare un venticinquennio di sostanziale stallo - dovuto a responsabilità attribuibili a tutti i governi succedutisi nell’ultimo quarto di secolo – indicando al contempo la corretta via per lo sviluppo.
Strutturato come un lungo dialogo a due, il libro inquadra l’attuale momento storico come quello delle scelte non più procrastinabili, e dopo aver analizzato le cause ataviche di quello che gli autori definiscono il nostro declino enumera i falsi miti che tengono in realtà la nostra crescita in ostaggio. Non si fanno sconti, né prigionieri, nell’analisi di Merli e Senaldi, sotto la cui lente inquisitrice finiscono gli stipendi e l’immigrazione, il welfare e l’industria manifatturiera, il genio italico e i sindacati, l’Europa e l’autoreferenzialità della comunicazione mainstream sul Made in Italy, la transizione ecologica e la cosiddetta ‘umanità’ di Berlino. In buona sostanza, sostengono gli autori, politica e media ci stanno raccontando da troppo tempo - ma nei fatti lo stiamo facendo anche da soli – un mucchio di bugie, mentre sarebbe ora di guardare in faccia la realtà se vogliamo salvare la barca Italia da un debito pubblico mostruoso che finirà per affondarla.
Ma posto che il futuro dipenda solo da noi, che dobbiamo fare per tornare a crescere? Per Senaldi e Merli i veri obiettivi devono essere l’aumento del PIL reale (non nominale) e di quello pro capite, che dipendono dal numero di lavoratori attivi e dal valore aggiunto delle loro occupazioni. E possono essere perseguiti solo ricostruendo un modello vincente attraverso una nuova consapevolezza, condivisa da politici, imprenditori, rappresentanti sociali e cittadini. In concreto, vanno cercate nuove arene competitive, investendo in settori diversi da quelli presidiati dai nostri competitor e impostando piani di sviluppo industriale efficaci, nonché, finalmente, slegati dalle logiche di consenso politico immediato. Va valorizzato il turismo, mettendolo a filiera e combattendo la frammentazione dei servizi anche attraverso investimenti in ecosistemi digitali nazionali. Va implementato lo sviluppo dei servizi emergenti, sviluppato il mercato delle smart city, utilizzato il motore dell’economia dei dati, riconsiderato con una strategia unitaria il potere del Made in Italy.
A questo fine, sono fondamentali leve come la digitalizzazione (da declinare in più modi, senza dimenticare la necessità di alfabetizzare gli stessi consumatori italiani), l’innovazione, la ‘servitizzazione’ (intesa come proposta/vendita di servizi integrati, anziché un prodotto finito), la capacità di attrarre multinazionali, di integrare l’IA nei piani industriali, di ingrandire le aziende e di mettere in rete le PMI, rendendole capaci di funzionare come grandi gruppi, superando i limiti geografici e incentivando la nascita, flessibile e dinamica, di catene di valore tra piccole imprese che collaborino come un’unica entità. Non esattamente un libro ‘facile’, insomma - per quanto scritto in una lingua estremamente fluida e comprensibile. Di certo, un interessante contributo al possibile sciogliemmo di tanti nodi che tengono l’Italia bloccata da anni.
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