“Scegli la tua vita”: la lezione di Lumera tra vocazione, libertà ed eresia

“La vocazione è il punto in cui la nostra verità smette di essere un sussurro e diventa un destino.” Con queste parole Daniel Lumera ha aperto l’incontro pubblico a Malnate nel dialogo con Marco Giovannelli, direttore di VareseNews, durante un appuntamento che ha riempito il Centro Sportivo Comunale e che si è presto trasformato in un viaggio intenso attraverso temi come gentilezza, educazione, crisi, identità e ricerca di senso.
Prima di entrare nel cuore della conversazione, la serata è stata introdotta dai saluti istituzionali. La sindaca Nadia Cannito ha ricordato come «iniziative come questa non siano semplici eventi culturali, ma atti concreti di cura verso la comunità e verso il benessere collettivo», sottolineando il valore della presenza di Lumera in un momento storico in cui «la fragilità sociale necessita di spazi di riflessione e di ascolto».
Subito dopo, l’assessora ai servizi sociali e alla gentilezza Maria Croci ha ribadito il filo che lega Malnate al Movimento Italia Gentile, evidenziando quanto i progetti promossi sul territorio «abbiano già generato un cambiamento profondo nel modo in cui le persone si relazionano, si riconoscono e si prendono cura gli uni degli altri».
Da qui si è aperta una conversazione intensa, ricca di riflessioni e racconti personali, nella quale Lumera ha ripercorso il significato del suo nuovo libro Scegli la tua vita, Solferino.

La rivoluzione della gentilezza e la degenerazione del cinismo
Lumera ha raccontato la nascita sorprendente della rete delle realtà che offrono un “gesto gentile”, e del ruolo dei Comuni — da Bari a Firenze fino al primo Stato, San Marino — che hanno aderito al Movimento Italia Gentile. «Sono oltre 350.000 le persone che in Italia hanno partecipato alle attività». Un’esperienza nata quasi per caso, diventata virale e capace di trasformarsi in una rete internazionale che oggi entra anche nelle carceri, nelle scuole, negli ospedali, affiancando processi di cura e percorsi di consapevolezza.
La gentilezza, ha spiegato, è oggi «un atto di disobbedienza civile», un modo per resistere a un’epoca che sta «sdoganando la violenza come forma di autoaffermazione identitaria». È a questo punto che Lumera introduce uno dei temi centrali del suo libro: l’eresia come gesto d’amore.
Per lui, infatti, l’eresia è la capacità di restare fedeli alla propria verità anche quando questa contrasta i modelli dominanti. Una prospettiva che lo porta a criticare un sistema educativo fondato sul binomio punizione–ricompensa e su forme moderne di condizionamento emotivo, simili — ha spiegato con rigore — ai meccanismi neurobiologici delle dipendenze.
Educazione, errore e il peso delle parole nell’infanzia
Lumera ha rivolto un invito esplicito a genitori ed educatori: «State attenti all’età della purezza, dai 0 ai 12 anni. Il bambino non distingue comportamento da identità». Dire a un bambino “sei troppo” — ha spiegato — lo porta a registrare un’impronta profonda di inadeguatezza, introducendo un tema che ha attraversato tutta la serata: il bisogno di salvaguardare la spontaneità, di non omologare, di proteggere la libertà originaria dei più piccoli.
Questo bisogno di autenticità ritorna nel cuore del suo discorso sull’eresia: «Arriva un momento nella vita in cui questa eresia devi reclamarla», smettendo di adattarsi a ruoli che non ci appartengono, imparando a dire “no”, riconoscendo il proprio valore e la propria vocazione.

Amore, relazioni e la fine delle illusioni
Il passaggio sull’amore — provocatorio e profondamente umano — ha acceso calore e risate nelle oltre cinquecento persone arrivate per partecipare all’incontro. Lumera ha parlato dell’innamoramento come «uno stato alterato di coscienza», di come le relazioni spesso si trasformino in proiezioni e non permettano di vedere davvero l’altro. Ha raccontato episodi personali, fra cui la celebre storia delle due donne che per anni lo hanno “convinto” di essere un pessimo, poi un ottimo cuoco, per mostrare come l’immagine che gli altri hanno di noi determina comportamenti e scelte in modi sorprendenti.
La sua riflessione sulla coppia è stata chiara: «La relazione non dovrebbe essere un bisogno, ma una scelta. Non un’abitudine, ma un luogo di libertà e di verità».
Roaming Wild: la decade della rivelazione
Tra i passaggi più forti, Lumera ha introdotto il concetto di “Roaming Wild”, l’immagine del vagare libero, fuori dai sentieri già tracciati. Qui ha spiegato la centralità della fascia d’età tra i 16 e i 26 anni, definita la “decade della rivelazione”, in cui il cervello raggiunge la maturità della corteccia prefrontale e la persona inizia a definire la propria identità al di là delle narrazioni familiari e sociali.
«In quella fase — ha detto — avvengono le rivelazioni più importanti sulla vocazione». Da Einstein a Steve Jobs, da Michelangelo a Camilleri, Lumera ha mostrato come molte traiettorie esistenziali siano nate proprio in quel periodo.
Il Dharma come legge naturale dell’essere
Al centro della serata, il cuore del libro: lo Svadharma, definito come “il canto con cui l’anima danza mentre il mondo dorme”. Per riconoscere questo canto, Lumera propone quattro regole del Dharma: imparare a dire no, dedicare ogni giorno un piccolo tempo alla propria verità, rispettare le stagioni della vita e reimparare a sentire, non solo a pensare il sentire.
«La nostra società — ha detto — non ci educa all’ascolto, ma al controllo. Eppure è proprio lì che la vita si perde: nella perdita del sentire».
Ikigai, Shimei, Svadharma: tre mappe per la vocazione
Lumera ha poi spiegato come nel libro si integrino tre modelli — Ikigai, Shimei e Svadharma — che insieme permettono di lavorare su passione, talento, missione e professione. Un approccio che guarda anche al mondo del lavoro e delle organizzazioni. Richiamando studi di McKinsey e Gallup, ha ricordato come oggi «le nuove generazioni cercano aziende che diano senso, non solo stipendio», segno di un cambiamento profondo nel sistema di valori.
L’intelligenza esistenziale nell’epoca dell’intelligenza artificiale
Il dialogo si è chiuso sul tema dell’intelligenza esistenziale, definita come la capacità di trovare senso nella crisi, nella solitudine, nell’ignoto. «È un costrutto scientifico — ha detto — misurabile. Le persone che trovano vocazione e significato vivono meglio, più a lungo, con maggiore salute e benessere».
Lumera ha spiegato come il progresso dell’intelligenza artificiale stia paradossalmente riportando gli esseri umani verso domande più profonde, verso ciò che nessuna macchina può generare: empatia, compassione, meraviglia, verità.
“La vita è un miracolo a cui non sempre siamo presenti”
In un crescendo emotivo, Lumera ha ricordato che ognuno di noi è «una possibilità su 400 trilioni», invitando il pubblico a interrogarsi sul valore del proprio tempo e sulla responsabilità di non sprecarlo. «Non morite senza aver intuito almeno il sigillo della vostra anima», ha detto, prima di guidare i presenti in una breve meditazione collettiva.
La serata si è chiusa così, nel silenzio condiviso di un’intera sala: un momento di meditazione e ascolto profondo, quasi sospeso, che ha restituito senso alle parole con cui tutto era iniziato — quelle sulla vocazione, sul bisogno umano di riconoscere la propria verità e camminare verso di essa, anche quando il mondo sembra dormire.
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