Trasformazione digitale in Europa: tra astratti principi e dura realtà, la lezione di Giuliano Noci
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Trasformazione digitale in Europa: tra astratti principi e dura realtà, la lezione di Giuliano Noci
Tra privacy e modelli culturali l’Europa rischia di restare intrappolata in un idealismo normativo che potrebbe farla precipitare nel declino industriale. Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano per il Polo Territoriale Cinese, invita a un cambio di paradigma nella gestione della trasformazione digitale in Europa. Ecco cosa suggerisce.

Il progresso tecnologico globale corre a velocità diverseee il Vecchio Continente sembra incapace di tenere il passo. Giuliano Noci, docente del Politecnico di Milano, ha descritto durante il Made in Italy Summit 2025 organizzato da Il Sole 24 Ore come “la Cina sia oggi leader in 57 delle 64 tecnologie strategiche mondiali analizzate da un report australiano”.
Una leadership che non si limita all’hardware o alla produzione, ma si estende a settori avanzati come l’intelligenza artificiale, la fotonica e i chip analogici, dove la ricerca cinese ha già prodotto prototipi “cento volte più veloci dei chip Nvidia”.
Noci avverte: mentre in Europa si discute di regole, altri Paesi costruiscono infrastrutture industriali e tecnologiche destinate a durare. “In Asia si vola, in Europa ci si ferma a parlare”, afferma, evidenziando il divario tra la velocità decisionale orientale e l’inerzia burocratica europea.
La “dura realtà” del diritto alla privacy
Tra i fattori che rallentano la competitività europea, Noci individua l’applicazione rigida dei principi di tutela dei dati personali. “La privacy è un principio straordinario, ma la sua applicazione è devastante per l’innovazione”, sostiene.
Un esempio concreto è la sanità digitale: in nome della protezione dei dati, i sistemi europei non condividono le informazioni necessarie per addestrare i motori di intelligenza artificiale sui corpi e sulle patologie dei cittadini del continente.
Il risultato è paradossale: “I dispositivi medici del futuro saranno addestrati su dati cinesi, perché noi non possiamo usare i nostri”.
Secondo Noci si tratta di un corto circuito culturale prima che politico. L’Europa difende valori legittimi ma ignora l’effetto economico delle proprie scelte: una “società dei diritti” che rischia di diventare una società del declino.
Modelli culturali e digitalizzazione: l’Asia come laboratorio
La riflessione di Noci si allarga ai modelli di società. “Il rapporto tra individuo e comunità in Asia è completamente diverso da quello occidentale”, spiega. “Quando un cittadino cinese indossa la mascherina non lo fa per proteggersi, ma per non nuocere agli altri. L’individuo si percepisce come parte della collettività.”
Questa mentalità, aggiunge, offre un vantaggio competitivo nelle tecnologie basate sull’economia di rete, dove la collaborazione e l’interconnessione sono essenziali.
Al contrario, “il turbo-individualismo occidentale è antitetico al principio di rete che governa le piattaforme digitali”.
L’Asia, osserva il docente, ha saputo tradurre la propria cultura collettivista in infrastrutture digitali integrate, mentre l’Europa continua a concepire la tecnologia come un rischio da controllare. Una differenza che, a lungo termine, determina la capacità di creare ecosistemi industriali, formare competenze e attrarre capitali.
La frammentazione europea e il rischio del vaso di coccio
L’Europa, sostiene Noci, “è un vaso di coccio tra due vasi di ferro”. Una metafora che ricorda quella del “sandwich” utilizzata dal professor Bruno Siciliano. Stati Uniti e Cina competono per la supremazia industriale e tecnologica, mentre il continente rimane privo di una strategia condivisa.
La causa non è solo politica ma strutturale: mancanza di piattaforme industriali comuni, frammentazione normativa e una visione che privilegia la tutela rispetto all’innovazione.
Il professore cita l’esempio dell’intelligenza artificiale: l’Europa discute di limiti e codici etici, mentre le grandi economie investono in scala per addestrare modelli, attrarre talenti e integrare l’AI nei processi produttivi.
Paesi come l’Arabia Saudita – definita da Noci “una potenza in accelerazione” – stanno invece trasformando il deserto “in un grande generatore di energia elettrica per fornire all’Europa l’energia che non saprà produrre”.
L’immagine è volutamente provocatoria, ma fotografa una realtà: la trasformazione digitale in Europa è rallentata da vincoli culturali e regolatori che limitano la competitività delle imprese.
Competere con la realtà, non con i principi
Per Noci, la sfida è conciliare i valori europei con l’urgenza del progresso. “Non si vive di astratti principi, si vive di dura realtà”, afferma, richiamando la necessità di una nuova stagione di pragmatismo.
Questo non significa rinunciare alla tutela dei diritti, ma ripensarne l’applicazione in modo funzionale alla crescita economica e alla sovranità tecnologica.
Nel confronto con gli Stati Uniti, dove la gestione dei dati è delegata alle grandi piattaforme private, e con la Cina, dove è controllata dallo Stato, l’Europa si trova nella posizione più difficile: “troppo libera per essere efficiente, troppo regolata per essere competitiva”.
Il risultato è un sistema che difende la propria etica ma non il proprio futuro industriale.
Il ritardo digitale come rischio sistemico
Noci osserva che il ritardo digitale dell’Europa non è più una questione di innovazione, ma di sopravvivenza industriale. “Siamo quartultimi in Europa per competenze digitali”, ricorda.
Questa carenza penalizza non solo le imprese, ma anche la formazione e il mercato del lavoro.
Mentre in Asia si pagano beni e servizi con il telefono, molte economie europee faticano ancora a integrare i sistemi digitali di base. Il divario tecnologico rischia di diventare strutturale, con conseguenze dirette sulla produttività e sulla capacità di esportare valore.
Per l’Italia, il tema assume una rilevanza particolare: la forza del Made in Italy – qualità, creatività, design – non basta più se non si accompagna a un salto tecnologico.
Il problema, secondo Noci, è che “facciamo i migliori prodotti del mondo, ma non sappiamo fare business”.
Un limite che riflette la difficoltà a unire competenze creative e capacità manageriale, a innovare i processi e a scalare le imprese.
L’urgenza di una nuova cultura industriale
Il messaggio che attraversa l’intervento è la necessità di ridefinire la cultura economica europea.
Non basta difendere i principi se si perde la capacità di produrre valore. L’Europa deve sviluppare un modello di governance tecnologica che tuteli i cittadini ma favorisca l’innovazione, che regoli ma non paralizzi.
Noci invita a un cambio di mentalità: “Gli altri fanno, noi ce la raccontiamo”.
Una frase che sintetizza la distanza tra dichiarazioni e realtà, tra l’idea di progresso e la sua realizzazione concreta.
Se la trasformazione digitale in Europa vuole diventare una leva di competitività, occorre superare l’autoreferenzialità normativa e tornare a investire in conoscenza, infrastrutture e capitale umano.
Solo così il continente potrà tornare a essere protagonista in una competizione globale che non aspetta nessuno.
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