Il giornalismo serve a capire chi non conosciamo, non a renderci tutti uguali

Novembre 22, 2025 - 02:30
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Il giornalismo serve a capire chi non conosciamo, non a renderci tutti uguali

Potremmo sintetizzare in una frase cosa e perché abbia determinato il successo del giornalismo: l’esigenza di arricchire il rapporto con gli altri. Come abbiamo già detto, ai nostri antenati bastava l’interazione faccia a faccia. Quanto era estraneo all’esperienza diretta non interessava, se non a élite molto ristrette. Il giornalismo è stato un’invenzione della modernità, nata allorché per un gran numero di individui si è reso necessario essere informati su quanto accadeva anche al di fuori delle proprie cerchie sociali. Diventa una risorsa necessaria per gestire il rapporto con gli sconosciuti. Non a caso, e come già ricordato, negli Stati Uniti è stato fondamentale per consentire ai nuovi immigrati di individuare nella  stampa locale – da sempre la spina dorsale del giornalismo americano – il luogo di incontro dove conoscersi e riconoscersi.

Al contrario, il tardivo successo in Italia del giornalismo si spiega con il lento e ritardato processo di urbanizzazione, che ha reso più a lungo efficace che il discorso pubblico fosse affidato a un ceto medio intellettuale allargato, composto da maestri e parroci, dirigenti di partito e professionisti che facevano della prossimità un elemento caratterizzante. Figure diventate emblematiche: il medico di famiglia, il farmacista del paese, l’avvocato. Un’articolata pletora di confidenti in grado di tradurre nei piccoli mondi della vita quotidiana anche i primi segnali della modernità. Insomma, la persistenza della vita comunitaria ha ritardato lo sviluppo del giornalismo, istituzione cardine nella trasformazione delle comunità in società, dove le relazioni tendono a farsi più astratte.

Il giornalismo favorisce un processo di addomesticamento dell’alterità quando la vita quotidiana delle persone inizia a svolgersi sempre più fuori dalle mura domestiche, dalla piazza del paese, dall’incontro con una cerchia ristretta di familiari, amici e compaesani. Quando diventa meno totalizzante la relazione
con i consociati, cioè le persone con cui condividiamo tempo e spazio e con le quali, pertanto, abbiamo interazioni faccia a faccia; mentre cresce il rapporto con i contemporanei, quanti vivono nel nostro tempo, con i quali attiviamo rapporti di reciproca influenza, anche se sappiamo che alcuni non li incontreremo mai nella nostra vita.

Il giornalismo fornisce agli individui un enorme repertorio di fatti, eventi, idee e opinioni; offre un più ampio panorama di ragioni e argomentazioni portate a sostegno delle diverse proposte; articola e differenzia il sistema relazionale del soggetto; allarga l’orizzonte esperienziale in modo del tutto funzionale all’esigenza di agire su una scena pubblica allargata. Il giornalismo nella prima modernità è stato protagonista indiscusso del progressivo allargamento della cosiddetta «coscienza comparativa delle culture». Fornendo informazioni su un mondo sempre più ampio e densamente popolato, il giornalismo aiuta a comprendere l’enorme varietà di possibilità e di alternative con cui può essere svolta ogni azione e interpretato qualsiasi ruolo sociale.

Non a caso, quando negli anni Sessanta e Settanta si affacciò – anche in Italia – il movimento femminista, lo slogan di maggior successo era «Il privato è politico», che, in sostanza, contestava il dominio maschile, consistente nel relegare in casa, in famiglia, davanti al focolare il genere femminile, escludendolo dalla scena pubblica e dalla conseguente capacità di agire in essa. L’allentamento dei legami sociali tradizionali grazie all’arricchimento del panorama di incontri quotidiani determina l’estensione delle relazioni e l’intensificarsi del modo in cui tali relazioni si gestiscono. Ci si confronta con un repertorio più ampio di azioni sociali possibili, di significati attribuibili, di sistemi valoriali a cui fare riferimento e di modalità di composizione della gerarchia dei principi che ne fanno parte. Per ciascun individuo il flusso delle comunicazioni da gestire diventa più ricco e veloce. Di conseguenza, diviene più variegata e disomogenea l’attribuzione del significato.

Differentemente da come a lungo si è ritenuto, la società di massa non produce omogeneizzazione sociale, bensì il suo opposto, cioè differenziazione e individualizzazione: la globalizzazione pluralizza e frammenta le comunità nazionali e locali, con la conseguenza che sempre meno individui di uno stesso luogo condividono un fondo culturale, cioè leggono gli stessi libri, parlano la stessa lingua e difendono gli stessi valori […] vengono creati nuovi spazi comuni in cui ha luogo una creolizzazione d’idee, valori, saperi e istituzioni.

Il termine «massa» va riferito, piuttosto, al numero di individui che in diverse parti del mondo entrano in questo processo di autonomizzazione delle proprie azioni, svincolate da forme di controllo sociale opprimenti e statiche proprie delle società tradizionali. Individui che si espongono a un’amplissima produzione di dati, notizie, informazioni, per cui diventa più difficile e incerto il processo di selezione e di scelta. Le opzioni possibili sono tante per ogni circostanza, da quella della banale quotidianità a quelle fondamentali per la nostra esistenza.

Per gestire questo corredo simbolico vi è bisogno di maggiori informazioni. Esattamente ciò che fanno il giornalismo e – più generalmente – i media. Si amplia il capitale immaginativo degli individui rendendo parte del lavoro mentale quotidiano l’immaginazione, che permette l’allargamento del proprio orizzonte
di aspettative. Con precise e rilevanti conseguenze sull’azione sociale, perché l’individuo può realizzare soltanto le azioni che riesce a immaginare: «l’immaginazione è una palestra per l’azione».

Tratto da “Il giornalismo ha un futuro. Perché sta cambiando, come va ripensato”, di Carlo Sorrentino, il Mulino, pp.103-105, 16,15 €

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