Il sì di Fratelli d’Italia a Orbán qualifica la loro idea di giustizia

Settembre 23, 2025 - 01:00
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Il sì di Fratelli d’Italia a Orbán qualifica la loro idea di giustizia

Mi sono a lungo interrogato sulla riforma della giustizia promossa dal governo, tanto che a luglio ho indetto io stesso un referendum tra i lettori, per vedere quanti condividevano il mio dilemma (il risultato, piuttosto sorprendente, è stato: non pochi). Da un lato avvertivo infatti l’esigenza di ridimensionare il ruolo strabordante acquisito dalla pubblica accusa negli ultimi trent’anni; dall’altro pensavo fosse necessario contrastare una tendenza non meno pericolosa presente nel governo, e cioè quel misto di giustizialismo per i nemici (modello Bibbiano), impunità per gli amici (modello Santanchè) e stato di polizia per i migranti (modello Salvini) che rappresenta la via italiana alla democrazia illiberale (modello Orbán) ed è una minaccia che non riguarda solo la giustizia, come dimostra il modo a dir poco spregiudicato in cui l’esecutivo è intervenuto sulle banche, a cominciare dalla scalata Mps-Mediobanca, o nell’occupazione della Rai e di ogni altro spazio occupabile. Devo però aggiungere che negli ultimi giorni, almeno per quanto mi riguarda, il dilemma è stato sciolto, direi definitivamente, dalle prese di posizione di Fratelli d’Italia e della Lega sul caso di Ilaria Salis. Il parlamento europeo si pronuncerà infatti sulla richiesta di revoca della sua immunità, avanzata dall’Ungheria, domani in commissione e il 7 ottobre in plenaria, e la destra italiana sembra determinata a votare a favore, cioè per riconsegnare l’eurodeputata di Avs alle carceri di Viktor Orbán, come hanno confermato Giovanni Donzelli dal palco della festa di Gioventù nazionale, tra gli applausi dei militanti, e Roberto Vannacci a Pontida, parlando con i giornalisti.

Al di là degli aspetti insieme inquietanti e ridicoli che hanno caratterizzato il caso sin dall’inizio, come l’idea che Salis abbia fisicamente aggredito due neonazisti ungheresi mandandoli in ospedale, o il fatto che rischiasse fino a ventiquattro anni per lesioni lievi, una cosa che in Italia si sarebbe risolta dal giudice di pace (serve altro per misurare il grado di asservimento della magistratura locale?), la vicenda è resa ancora più preoccupante, ed emblematica, dalla scelta di Donald Trump di designare i gruppi «Antifa» come terrorismo interno. Trattandosi non di una precisa organizzazione, ma di una sigla che qualunque movimento di sinistra può attribuirsi – o vedersi attribuire da altri – è evidente l’enormità e l’assoluta arbitrarietà della procedura, di fatto uno strumento per mettere in galera gli oppositori, che infatti Orbán si è affrettato a copiare, riconducendo alla stessa sigla anche l’eurodeputata di Avs, così da aggravare ulteriormente la sua posizione.

Il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha replicato di non credere, bontà sua, che Salis sia una «terrorista». In ogni caso, se la discussione sulla riforma della giustizia avvenisse tra persone in buona fede, la domanda che per primissimi gli elettori di centrodestra dovrebbero rivolgere ai partiti di governo sarebbe una sola: la giustizia ungherese corrisponde alla vostra idea di come dovrebbe funzionare la giustizia in un paese democratico? Se la risposta è no, ne consegue che i partiti del centrodestra non possono votare la revoca dell’immunità a Salis; se la risposta è sì, è evidente che i loro elettori, come chiunque non voglia vivere in una democrazia illiberale sul modello orbaniano, non potranno votare sì al referendum sulla riforma della giustizia.

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Redazione Redazione Eventi e News