Mosca punisce i fedelissimi che raccontano l’incompetenza militare dei russi in Ucraina


Novembre 21, 2025 - 01:07
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Mosca punisce i fedelissimi che raccontano l’incompetenza militare dei russi in Ucraina


Da sempre il Cremlino è più a suo agio con la guerra della propaganda rispetto a quella sul campo. Arrivata quasi al quarto anno dall’invasione dell’Ucraina, il Cremlino continua a raccontare all’Occidente una vittoria che al fronte ancora non si vede. Un chilometro in più e un quartiere conquistato diventano grandi vittorie, tacendo poi il chilometro perso, la città riconquistata dagli ucraini, le morti civili. All’estero funziona, ma all’interno si nota qualche crepa da non sottovalutare. Non parliamo del dissenso liberale e degli oppositori politici perché Vladimir Putin ha avuto cura di eliminarne uno per uno, ma della fedeltà dei propagandisti militanti di regime.

Come scrive l’Economist in un interessante approfondimento, la macchina repressiva russa ha rivolto il suo sguardo contro la galassia dei cosiddetti Z-blogger che narrano la guerra su Telegram. Dopo averli blanditi nella prima fase dell’invasione, il Cremlino teme che quelle voci autonome possano minacciare l’immagine di disciplina assoluta, raccontando la verità del fronte.

A settembre Roman Alyokhin, 151 mila iscritti su Telegram e uno storico di appoggio totale all’invasione, è stato dichiarato agente straniero con l’accusa formale di «diffusione di informazioni mirate a screditare le Forze Armate», dopo aver criticato l’operato di alcuni generali nella regione di Zaporizhzhia. A ottobre è toccato alla nota commentatrice Tatyana Montyan, che conta circa 400 mila iscritti: è stata la prima Z-blogger a essere designata come “terrorista”, con l’inserimento nella lista federale per «attività che minacciano l’ordine costituzionale e la sicurezza dello Stato», una categoria che in Russia comporta restrizioni molto più severe dell’etichetta di estremista. A novembre la polizia ha fermato Oksana Kobeleva, una propagandista minore con diecimila iscritti, accusata di «pubblica discreditazione dell’esercito» e di aver diffuso messaggi «volti a minare la fiducia nell’operato del Ministero della Difesa».

Le ragioni di questo irrigidimento sono molteplici. Per due anni i Z-blogger avevano agito come una sorta di informazione parallela. Offrivano aggiornamenti in tempo reale dalle linee del fronte, spesso più tempestivi dei comunicati ufficiali. Denunciavano carenze logistiche, mancanza di mezzi, corruzione sistemica. Organizzavano raccolte fondi per acquistare droni, pick-up e medicinali direttamente per le unità combattenti. In diversi casi, come nell’estate del 2023 durante la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv, le loro critiche avevano influenzato il dibattito pubblico ben più dei talk show televisivi. Ma la visibilità che li aveva resi indispensabili li ha resi difficili da controllare.

Non a caso, proprio a luglio 2023, era stato arrestato Igor Girkin, noto come Strelkov, ex comandante dei separatisti nel Donbas e figura centrale dell’ultranazionalismo russo. Girkin aveva passato mesi a denunciare l’incapacità della leadership militare, accusando apertamente il ministro Sergej Šojgu e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov.  Mentre nell’agosto 2024, era arrivata la condanna di Andrei Kurshin, amministratore del canale Moscow Calling, uno dei più influenti del fronte nazionalista. Sei anni e mezzo di carcere per aver pubblicato informazioni ritenute false sulle operazioni russe a Nova Kakhovka. È stato uno dei primi casi in cui l’articolo 207.3, la norma che punisce la diffusione di presunte “fake news sull’esercito”, è stato applicato non contro un oppositore politico, ma contro un sostenitore della guerra.

L’anno scorso è stato interrogato più volte dal regime anche Mikhail Zvinchuk, amministratore di Rybar, uno dei canali più letti della guerra, con 1,2 milioni di iscritti. Pur non essendo mai stato incriminato, è stato costretto a moderare le sue critiche sulla gestione dei droni e dei rifornimenti. Nello stesso periodo avevano riferito pressioni simili anche il reporter di guerra Aleksandr Kots, storicamente vicino alla rete tabloid Komsomolskaja Pravda, e il blogger militare Semyon Pegov, fondatore del canale WarGonzo, che per mesi aveva lamentato interferenze da parte del Ministero della Difesa sulle sue inchieste dalle regioni di Kharkiv e Zaporizhzhia.

Quest’anno è stata avviata un’indagine contro il blogger culturale Pavel Sytkin per alcuni commenti sulle operazioni in Ucraina pubblicati nel contesto delle sue ricerche sulla storia della cucina russa. Una vicenda forse minore visto il lunghissimo elenco, ma che ci fa capire quanto sia elastica l’applicazione dell’articolo 207.3: non è più necessario essere un analista militare o un attivista per finire sotto accusa.

Insomma, il patto informale tra propaganda statale e canali indipendenti sembra  irreversibile, e il ministero della Difesa punta a spostare l’influenza dei blogger verso figure totalmente controllate, riducendo al minimo la loro autonomia editoriale e finanziaria. Il 5 novembre, Apti Alaudinov, uno dei comandanti ceceni integrati nell’esercito regolare, ha dichiarato pubblicamente che chi non si fosse allineato sarebbe stato «distrutto legalmente». È stata una delle prime volte in cui un rappresentante ufficiale della sicurezza ha definito gli Z-blogger dei nemici interni.

Sembra un film già visto con Yevgeny Prigozhin nel 2023: i realisti più realisti del re in nome dell’amore per la Russia chiedono al regime di fare di più. Nel caso del fondatore della Wagner fu la richiesta di un repulisti dei vertici militari, in questo caso una seconda ondata di mobilitazione, ritenuta necessaria per ottenere una vittoria completa, qualsiasi cosa voglia dire. Anche in questo caso i blogger evitano con cura di criticare Vladimir Putin, concentrandosi sui livelli intermedi della gerarchia militare, ma come nel 2023, anche oggi non basta per evitare la repressione di Stato.

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