Perché oggi il limite di 1,5°C è la linea che separa un futuro difficile da uno irreversibile

Novembre 20, 2025 - 18:00
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Perché oggi il limite di 1,5°C è la linea che separa un futuro difficile da uno irreversibile

Un equilibrio antico

Per millenni la Terra ha respirato lentamente, senza scatti improvvisi. Le temperature oscillavano con ritmi geologici, la CO₂ atmosferica restava stabile intorno alle 280 parti per milione, gli oceani e le foreste erano in grado di assorbire tutto ciò che la vita emetteva. Era un equilibrio dinamico ma armonioso, un concerto naturale in cui ogni strumento restava al suo posto. Poi è arrivata la rivoluzione industriale e la musica è cambiata.

La scintilla che accelera la storia

Tra il 1760 e il 1850 l’umanità impara a bruciare carbone su larga scala. Il vapore spinge locomotive, fabbriche, industrie. Nascono le prime metropoli moderne. Poco più tardi arriva il petrolio, poi il gas. È il trionfo del progresso, ma anche l’inizio inconsapevole di un enorme esperimento geofisico: rilasciare in pochi decenni ciò che la Terra aveva accumulato in milioni di anni.

Nessuno, all’epoca, immaginava che questo avrebbe alterato il clima dell’intero pianeta.

La scienza osserva, misura e avverte

Alla fine dell’Ottocento lo scienziato svedese Svante Arrhenius pubblica la prima intuizione: se la CO₂ aumenta, la temperatura della Terra aumenta. È una teoria rivoluzionaria, che rimane però confinata al mondo accademico.

Nel 1957 il geochimico Charles Keeling dimostra sperimentalmente che la CO₂ cresce ogni anno, senza eccezioni. I suoi strumenti, installati alle Hawaii, generano un grafico che non lascia spazio a dubbi: la curva sale, inesorabile.

Nel 1972 il Club di Roma avverte che una crescita infinita su un pianeta finito è impossibile. La comunità scientifica inizia a rendersi conto che qualcosa di enorme sta accadendo, ma la politica mondiale non è ancora pronta ad ascoltare.

1988: il clima entra in diagnosi

Per capire davvero cosa stesse accadendo, l’ONU e la WMO danno vita all’IPCC – l’Intergovernmental Panel on Climate Change. È un’impresa titanica: migliaia di ricercatori in tutto il mondo raccolgono dati, ricostruiscono trend, confrontano modelli, verificano ogni singola affermazione.

Negli anni successivi i rapporti dell’IPCC diventano sempre più chiari. Nel 2001 affermano che la causa del riscaldamento è probabilmente l’uomo. Nel 2007 la certezza è inequivocabile, tanto che l’IPCC riceve il Premio Nobel per la Pace. Nel 2013 la responsabilità umana diventa “estremamente probabile”, cioè quasi matematica. Nel 2023 gli scienziati scrivono nero su bianco che l’influenza umana ha riscaldato atmosfera, oceani e terre emerse.

È una diagnosi definitiva.

Rio, Kyoto, Parigi: la politica risponde

Nel 1992, al Summit della Terra di Rio de Janeiro, il mondo riconosce ufficialmente il problema e firma la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici. È la prima ammissione collettiva che il clima sta cambiando e che il cambiamento è globale.

Nel 1997 arriva il Protocollo di Kyoto, primo tentativo di ridurre le emissioni nei Paesi industrializzati.

Nel 2015 nasce l’Accordo di Parigi, un impegno storico sottoscritto da quasi tutti i Paesi del mondo: contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C.

Ma perché proprio 1,5°C?

Perché al di sopra di quella soglia entrano in gioco reazioni a catena che potrebbero rendere il clima instabile per secoli. Scioglimento irreversibile dei ghiacciai, permafrost che rilascia metano, perdita delle barriere coralline, eventi estremi sempre più intensi, migrazioni di massa, insicurezza alimentare. È un limite fisico, non politico.

Il lato oscuro: disinformazione e negazionismo

Mentre la scienza accumula prove, una parte del mondo economico e politico inizia a seminare dubbi. Le lobby dei combustibili fossili finanziano campagne che minimizzano la crisi. Alcuni leader cavalcano il negazionismo per convenienza elettorale. L’amministrazione Trump ritira gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e definisce il cambiamento climatico un “bluff”.

Sono anni in cui la verità scientifica viene oscurata da slogan, interessi e manipolazioni.
Ma i dati continuano a parlare.

Il presente che brucia

Tra il 2020 e il 2024 il pianeta registra gli anni più caldi di sempre. I ghiacciai alpini si ritirano a vista d’occhio. In Canada e Australia bruciano superfici mai viste. In Europa e Asia si verificano inondazioni devastanti. Gli oceani raggiungono temperature da record. La CO₂ supera le 420 parti per milione, un valore senza precedenti negli ultimi tre milioni di anni.

Quello che un tempo erano proiezioni oggi è realtà.

Verso il mondo post-COP30: il bivio della nostra epoca

La COP30, ospitata in Brasile nel cuore dell’Amazzonia, rappresenta un passaggio simbolico e sostanziale nella storia delle politiche climatiche globali. Qualsiasi sia il suo responso: segna una fase in cui i Paesi del mondo sono chiamati a confrontarsi con l’urgenza del limite di 1,5°C e con la necessità di rivedere i propri impegni climatici in maniera credibile, concreta e misurabile.

Non è più il tempo dei dibattiti astratti né delle promesse rinviate. Il vero nodo non è capire se il clima stia cambiando — questo è ormai un dato di fatto — ma decidere fino a che punto vogliamo limitarne i danni e quali strumenti siamo disposti a mettere in campo per farlo.

La COP30 non è un evento isolato: è un crocevia che riassume tre decenni di negoziati e anticipa il cammino ancora da percorrere. Ogni scelta presa — o mancata — dentro e fuori quei tavoli diventa parte del futuro climatico della nostra civiltà.

La nuova economia: la visione della Terza Rivoluzione Industriale

Da anni Jeremy Rifkin indica un percorso alternativo, non solo ecologico ma economico. La Terza Rivoluzione Industriale, fondata su rinnovabili, efficienza, reti intelligenti, digitalizzazione e idrogeno verde, disegna un modello competitivo, democratico, resiliente. Il Green New Deal globale completa questa visione, trasformando la lotta al cambiamento climatico in motore di crescita e non in freno.

La sostenibilità non è un costo: è la nuova infrastruttura della prosperità.

Il ruolo delle professioni: un cambiamento diffuso

Ogni settore può contribuire.
L’ingegneria con l’efficienza energetica e le nuove soluzioni tecnologiche.
L’architettura con edifici che producono più energia di quella che consumano.
L’agricoltura con pratiche rigenerative.
L’industria con processi circolari.
Il digitale e l’AI con strumenti per ottimizzare consumi, previsioni e rischi.
La finanza con investimenti che premiano la sostenibilità.

La transizione non è un sacrificio: è un’occasione per reinventare il nostro modo di lavorare, produrre e vivere.

Una scelta morale, prima ancora che tecnica

Il mondo spende più in armi che in clima, ricerca, istruzione e salute. Continuiamo a finanziare la distruzione mentre potremmo investire nella costruzione di un futuro migliore. Ogni euro destinato alla guerra è un euro sottratto alla vita.

La pace è la prima politica climatica.

Conclusione: la verità che dobbiamo raccontare

Il cambiamento climatico è reale.
Lo abbiamo causato noi.
Ma possiamo ancora scegliere il finale della storia.

Siamo la prima generazione a sperimentarne pienamente gli effetti. E l’ultima che può ancora evitare il peggio.

La conoscenza è il primo passo.
La consapevolezza il secondo.
La scelta il terzo.

Il futuro non è scritto.
Dipende da noi, adesso.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia