Intervistato dal Foglio, Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, ripercorre la propria storia professionale e personale, tra ricordi inediti, valutazioni sulla Rai e riflessioni sull’attentato subito. Ammette di essere entrato in azienda “per raccomandazione” nel 1989, grazie alla segretaria di un dirigente a cui “davo lezioni di tennis”, e ricorda la sua prima e unica tessera politica: “Io ho avuto una sola tessera di partito, quella della Dc. Corrente sbardelliana, me la fecero loro quando ero ragazzo, neanche lo sapevo”. Oggi si definisce “un cattocomunista”, ma a volte con “idee vicine alla destra legalitaria”.
Esclude un futuro in politica: “Non entrerò mai in politica. Non mi interessa”. Eppure ammette che “me l’hanno già chiesto tante volte” e che le proposte ricevute “erano un po’ più importanti” di un ruolo da sindaco. Sul sostegno dei partiti resta scettico: “Questi attestati di stima sono sempre da prendere con le pinze”. Anche sui 5 Stelle: “Una parte dei 5 Stelle ha sempre pensato che noi fossimo roba loro. E invece no”.
Racconta le minacce ricevute e l’attentato: “Prima di quella notte c’erano stati undici episodi”. Esclude però scenari politici: “L’unica cosa certa è che la politica non c’entra assolutamente nulla”.
Inevitabile lo sguardo al futuro: “Io vorrei rimanere in Rai. Ma dipenderà dalla Rai, non da me. Se mi sposto io, qua non ci rimangono nemmeno i cassetti. Perché è un segnale. Significa che Report non ha più la libertà di fare quello che ha fatto fino ad adesso”.