Agli enti locali non piace la Legge di Bilancio 2026
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La nuova Legge di Bilancio 2026, approvata di recente dal Consiglio dei Ministri all’interno del quadro di governance economica europeo, apre una stagione di tensioni tra Governo ed enti locali, cui non piace l’impianto generale della nuova manovra.
Le associazioni che rappresentano Comuni e Province, intervenute in audizione parlamentare, hanno espresso un giudizio fortemente critico sulla struttura della Manovra, giudicata troppo prudente e incapace di sostenere la macchina dei servizi essenziali sul territorio.
Secondo l’impianto della legge, l’obiettivo primario resta il rientro del deficit, da raggiungere attraverso il rispetto del limite alla cosiddetta “spesa netta”. Un percorso che vincola la possibilità per lo Stato di utilizzare una quota più ampia di risorse e impone scelte selettive. Una prudenza contabile che, pur rispondendo agli impegni assunti con Bruxelles, finisce però per sacrificare ciò che gli enti territoriali considerano essenziale: investimenti, servizi sociali e sostenibilità della spesa corrente.
Cosa preoccupa in particolare?
La decisione dell’Esecutivo di destinare la quasi totalità delle risorse disponibili a misure una tantum, evitando interventi programmati e strutturali, è il punto che più preoccupa le autonomie locali. L’assenza di un piano che sostenga gli investimenti rischia infatti di bloccare decine di opere pubbliche già in fase di progettazione e di compromettere la continuità dello slancio economico generato negli ultimi anni dal PNRR.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha rappresentato un volano per l’economia italiana, sostenendo migliaia di cantieri e contribuendo in modo determinante a limitare il peso del deficit sul PIL. Con la fine della sua spinta nel 2026, secondo le associazioni locali, la Manovra avrebbe dovuto introdurre strumenti capaci di garantire stabilità e prospettiva, evitando il rischio di un rallentamento strutturale.
I timori dei Comuni: il peso crescente della spesa sociale
A sollevare le contestazioni più serrate è l’ANCI, che da mesi segnala il deterioramento della spesa corrente nelle amministrazioni comunali. Il nodo principale riguarda i servizi rivolti ai minori, un comparto che negli ultimi anni ha visto un aumento significativo dei costi, al punto da mettere in difficoltà numerosi bilanci locali.
Il primo fronte riguarda i minori affidati per decisione dell’autorità giudiziaria. I Comuni, chiamati a garantire assistenza immediata e completa, sostengono spese che ANCI definisce “obbligatorie e non comprimibili”. L’istituzione, nel 2025, di un fondo da 100 milioni annui ha rappresentato un passo avanti, ma non sufficiente: solo nel 2024 la spesa complessiva registrata dai Comuni è stata di circa 460 milioni di euro. Per il 2026 la legge di bilancio prevede altri 150 milioni, ma le amministrazioni chiedono che tale sostegno diventi stabile, perché senza coperture adeguate numerosi Comuni — soprattutto di piccole dimensioni — rischiano il dissesto.
Studenti con disabilità e minori non accompagnati
Il secondo fronte critico riguarda il servizio di assistenza agli studenti con disabilità della scuola primaria e secondaria di primo grado. I Comuni finanziano direttamente oltre 600 milioni di euro l’anno, cui si aggiunge un contributo statale che, secondo le associazioni, resta insoddisfacente. Le richieste di assistenza sono quasi raddoppiate in molte realtà locali e le sentenze dei tribunali confermano costantemente che il diritto allo studio non può essere limitato da vincoli di bilancio. Ne deriva un onere sempre crescente a carico degli enti, che denunciano la mancanza di strumenti strutturali e continuativi per rispondere alle esigenze delle famiglie.
Terzo tema caldo è quello dei minori stranieri non accompagnati. I Comuni aspettano il rimborso di circa 200 milioni di euro per i servizi erogati nel triennio 2023-2025. Risorse che il Ministero dell’Interno non ha ancora trasferito per mancanza di fondi e la cui mancata erogazione — secondo ANCI — rappresenta un grave squilibrio, dato che molte amministrazioni stanno coprendo di fatto funzioni che dovrebbero essere esercitate dallo Stato.
Il caso dell’imposta di soggiorno e l’“extragettito sottratto”
Tra le misure contestate appare anche la modifica all’imposta di soggiorno. Se da un lato l’ANCI aveva appoggiato la possibilità di mantenere per il 2026 la maggiorazione di 2 euro applicata alle strutture ricettive nelle città più visitate, dall’altro rifiuta con forza il meccanismo di “compartecipazione al contrario” introdotto nella Manovra.
La norma stabilisce infatti che il 30% dell’extragettito generato dalla maggiorazione, anziché rimanere ai Comuni, venga trasferito allo Stato per finanziare i fondi destinati ai minori affidati e agli studenti con disabilità. Una scelta giudicata distorsiva perché sottrae risorse ai territori che più sostengono i costi legati ai flussi turistici — dai trasporti alla raccolta rifiuti, fino alla sicurezza urbana. Per i Comuni attrattivi, l’imposta di soggiorno rappresenta praticamente l’unica entrata compensativa per i maggiori servizi richiesti dai visitatori.
Asili nido, LEP e monitoraggi: un cantiere aperto
Il tema dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) rappresenta un altro nodo irrisolto. L’ANCI denuncia che la Manovra considera già soddisfatti i requisiti per i LEP sociali, escludendo ulteriori finanziamenti, fatta eccezione per un intervento mirato alle assunzioni di educatori e psicologi. Un’impostazione considerata prematura e priva di una valutazione condivisa. L’associazione chiede di proseguire il percorso di analisi e di riforma e di alleggerire la burocrazia dei monitoraggi, attualmente eccessivamente frammentata.
Anche sul fronte degli asili nido, pur riconoscendo i progressi registrati nel raggiungimento della soglia del 33% di copertura, i Comuni sollecitano un intervento di razionalizzazione delle risorse e di aggiornamento degli obiettivi alla luce dei dati demografici più recenti. Il Mezzogiorno e le aree interne, dove è più diffusa l’anticipazione dell’ingresso nella scuola dell’infanzia, faticano infatti a raggiungere i target prefissati.
Province: l’allarme dell’UPI sul rischio paralisi
Le Province, rappresentate dall’UPI, esprimono un giudizio altrettanto negativo. Pur apprezzando l’assenza di nuovi tagli, lamentano che il Governo abbia ignorato le richieste più urgenti. I nodi aperti riguardano lo squilibrio strutturale dei bilanci provinciali, la mancanza di risorse per proseguire gli investimenti infrastrutturali avviati grazie al PNRR e l’assenza di misure per il rafforzamento del personale. Inoltre, l’UPI evidenzia che le Province sono state escluse dalle norme che alleggeriscono i costi contrattuali del personale negli enti locali, lasciando gli aumenti salariali completamente a carico dei propri bilanci.
I nodi da sciogliere
In conclusione la sensazione condivisa da Comuni e Province è che la Manovra, pur rispettosa dei vincoli europei, non tenga conto del necessario equilibrio tra rigore e coesione territoriale. Le amministrazioni locali chiedono quindi un confronto più ampio e interventi correttivi che permettano di assicurare servizi essenziali e investimenti strategici, senza compromettere la stabilità dei conti pubblici.
Agli enti locali non piace la Legge di Bilancio 2026: i documenti in audizione di ANCI e UPI
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