Familiar Touch, il racconto dell’ultima trasformazione della vita


È passato più di un anno da quando Familiar Touch ha illuminato la sezione orizzonti (quella delle opere piccole, ma di ricerca) della Mostra del Cinema di Venezia (edizione 81) aggiudicandosi il Leone del futuro per l’opera prima di Sarah Friedland, premiata anche in regia insieme alla straordinaria attrice protagonista Kathleen Chalfant. Sembrava impossibile parlare ancora di demenza senile dopo il bellissimo The Father di Florian Zeller con Anthony Hopkins. Invece bastava solo cambiare approccio.
Familiar Touch non pretende più di portarci all’interno di una memoria fragile, ma vuole mostrare – senza clamore – la dignità degli ultimi anni di vita. La regista che ha un passato da documentarista, sceglie di spingere tutto sul realismo. La casa di riposo in cui viene trasferita Ruth è un’autentica casa di riposo americana.
La trama
Le comparse non sono attori, ma ospiti della struttura che hanno partecipato a un laboratorio di cinema. È straordinario quindi come Chalfant riesca a “mimetizzarsi” in questo affresco umano facendo credere con naturalezza di essere anche lei un’anziana affidata alla struttura. Ci si affeziona a Ruth, ex chef che in una delle scene migliori mette in riga tutta la brigata della mensa, convintasi di essere ancora al lavoro. C’è un ritmo lento per tutto il film, ma anche un sottile umorismo nella descrizione delle attività quotidiane della struttura. Spicca tra tutte l’inquadratura in cui gli anziani sono parte di un esperimento con i visori di realtà virtuale.
Un tocco della famiglia
Familiar Touch racconta l’ultima trasformazione della vita: il trasferimento in una nuova casa e il graduale adattarsi al momento in cui Ruth non potrà più badare a sé. Invece che osservare i suoi protagonisti come pazienti, la regia dimostra una straordinaria capacità di fare emergere la loro persona tramite piccoli gesti.
Nella sequenza di apertura, in cui si cerca dentro un armadio e si prepara un toast, emerge un intero vissuto espresso in queste piccole azioni. Tenerezza, rispetto, normalità, sono le linee guida di questo rispettosissimo racconto della vecchiaia. Un’età in cui ci si sente in balia degli eventi e dell’attesa, ma in cui la propria casa si può trovare in uno sguardo, una parola o un tocco famigliare.
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