I profumi Amouage riflettono sul potere trasformativo del tempo: l’intervista doppia

“SONO SCONSIGLIATI I TACCHI ALTI, suggerito un abbigliamento caldo e confortevole”. Un appunto inusuale, che accompagna l’invito a una serata da sogno nella più antica Casa di champagne al mondo, la Maison Ruinart. Siamo a Reims, Francia, nel cuore della regione delle bollicine, ed è subito chiaro il motivo del dress code. Si scendono molti gradini su pavimenti scivolosi, fra opere d’arte e volte sgocciolanti. È con il fiato sospeso che ci addentriamo sempre più giù, come speleologi dark, fino a raggiungere 40 metri sotto il livello del suolo.

La cena è in un contesto spettacolare e un po’ sinistro, ovvero nelle crayères, le monumentali cantine scavate nel gesso: la temperatura interna è di 12 gradi, si mangia e si conversa quasi al buio, con una copertina bianca sulle ginocchia, in un’atmosfera gotica. Sembra di essere sul set di un film di Peter Greenaway. Questo posto incredibile, invece, è stato scelto da Amouage, brand omanita di Alta Profumeria che crea sillage che fanno perdere la testa, per presentare The Essences, una collezione di tre fragranze che riflettono sul potere trasformativo del tempo.
Nuovi profumi Amouage: il tempo ha un potere trasformativo
Frutto di una tecnologia rivoluzionaria, i jus sono realizzati con un processo a doppia infusione che ricorda quello dell’invecchiamento dei vini, idea del carismatico Renaud Salmon, direttore creativo della Casa. «Il mondo va sempre più veloce. In una settimana si produce più musica di quanta se ne facesse in un secolo. In quanto ai profumi, ne escono sul mercato 3mila all’anno, circa dieci al giorno. Sentivamo il bisogno di qualcosa che non potrebbe esistere se non fosse creato in modo estremamente lento», dice. Dopo anni di studi, esperimenti e tentativi falliti arrivano Reasons, creato dal Naso Bertrand Duchaufour, che trasmette l’idea di passato; Outlands, composto da Cécile Zarokian, invito a viaggiare nel futuro; Lustre, che esprime l’immediatezza del presente, realizzato da Julien Rasquinet e Paul Guerlain, i due perfumer che abbiamo intervistato.

Courtesy Press Office
Intervista doppia ai nasi Julien Rasquinet e Paul Guerlain
Il filosofo coreano contemporaneo Byung-Chul Han scrive: “Viviamo nell ’epoca dell’affanno, c’è bisogno di ritrovare la vita contemplativa nella sua forma più quotidiana”. Come avete tradotto il concetto di presente in una fragranza?
Julien Rasquinet. La composizione è estremamente com-plessa. Lustre – che vuol significare luminosità, luce – nasce da una riflessione sull’impermanenza, qualcosa che accade in un momento specifico e subito dopo non c’è più. Volevamo dare un senso di speranza, comfort e benessere e, per farlo, abbiamo usato il sandalo, un legno dalle proprietà magiche.
Paul Guerlain. Il nostro intento era anche quello di evocare la sensazione di vivere pienamente l’attimo. L’esplosione di cardamomo, la cremosità dell’iris e la vaniglia producono un avvolgente effetto nuvola.
È difficile creare in due?
J.R. Al contrario della musica, dove il compositore riesce a sentire la melodia in testa, o della pittura, dove un maestro è in grado di immaginare un’opera, il profumiere ha un’idea ma non la vede, è questa la differenza più grande con altre forme d’arte. La profumeria è come il poligono di tiro: spari più a sinistra, poi più a destra, finché fai centro. Devi continuare a correggere. In J.r. due si annusa e poi si aggiusta tutto insieme.
P.G. Quando ci siamo conosciuti avevamo gli uffici vicini: andavamo alla macchinetta del caffè 20 volte al giorno e abbiamo iniziato a parlare di passioni comuni, non solo di profumi (ride, ndr ). È stato naturale pensare di lavorare in coppia. Io ho affinità con alcuni ingredienti, lui con altri: trascorriamo ore infinite in “smelling session” creative, ponendoci mille domande.
C’è stato qualche errore che vi è stato particolarmente utile?
J.R. Facciamo più errori che cose giuste. Da ragazzino collezionavo fragranze e ne ero ossessionato, ma non ho mai intrapreso studi di Chimica. Dopo la laurea in Economia ho avuto, però, la fortuna di conoscere il mio mito, il Naso superstar Pierre Bourdon. Eravamo nel suo studio, dopo un po’ che parlavamo mi ha detto: “Vuoi venire a lavorare qui?”. Per l’agitazione ho risposto: “Ci devo pensare”. Ero sconvolto, impaurito, consapevole di aver commesso una sciocchezza. Nella notte gli ho mandato una mail chiedendo se fosse ancora valida la proposta e lui ha risposto di sì. Sono stato il suo ultimo allievo.

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Qual è stato il momento nella vostra vita in cui avete iniziato a fare attenzione a quello che annusavate?
P.G. Ho un ricordo preciso. Quando avevo cinque anni sono andato con il nonno a Mayotte, isola francese vicino al Madagascar. Lui aveva delle piantagioni là. Sommerso da fiori e odori, provavo emozioni pure: il mio desiderio di diventare profumiere è sorto quando ho sentito per la prima volta l’ylang-ylang.
J.R. Io rammento il mare in Belgio, gli scogli, l’aria frizzante. E poi la campagna, l’odore della terra nella foresta, dei cavalli e delle strade sterrate. A 14 anni avevo un cabinet di curiosità pieno di cose profumate: una corda da marinaio infusa in un legno scuro, un pacchetto di tabacco, scaglie di sandalo. Non capivo che cosa stessi facendo, ora so che tutto aveva un senso.
L’arte vi influenza in qualche modo?
J.R. Tanto e in modi diversi. Mia moglie, Irina Rasquinet, è un’artista, qualche tempo fa passavo molti dei miei weekend a guidare un furgone per consegnare le sue opere. Facevo il profumiere nei giorni feriali e il “delivery guy” nei fine settimana. Ho anche collaborato con Claudine Drai, con cui abbiamo creato fragranze diffuse all’aeroporto Charles de Gaulle a Parigi e, più recentemente, con Eva Jospin. Ho dato un aroma ai suoi paesaggi.
P.G. L’arte contemporanea è una delle mie grandi passioni. Ma mi interessa molto anche la gastronomia, ci sono molti ponti fra le nostre creazioni e quelle degli chef.
Anche i viaggi sono un serbatoio di ispirazioni olfattive. C’è qualche nuova meta nei vostri sogni?
J.R. Il nostro è come il lavoro di un etnologo: bisogna studiare, capire le diverse culture e confrontarsi. Gli ingredienti arrivano da tutto il mondo e il desiderio di partire c’è sempre. In questo momento sogno di andare in Iran, dove c’è una cultura olfattiva storica.
P.G. Io penso all’India, non ci sono mai stato e credo che provochi uno shock olfattivo. Poi sogno il Giappone.
Se poteste cenare con un personaggio storico, chi scegliereste?
P.G. Giacometti. Sono ossessionato dalle sue sculture, vorrei immergermi nel suo mondo circondato da cibo, vino e sigarette per una notte.
J.R. Giuseppe Penone, il grande maestro dell’Arte Povera, che diceva: “Non sono un artista, sto solo partecipando a un movimento”. Amo la sua umiltà e la capacità di trasformare elementi semplici in opere, che è un po’ la magia che cerchiamo di ottenere con le fragranze.
Un mantra che vi accompagna quando create?
P.G. Less is more. Viviamo in una società che divora consumi, a volte dimentichiamo l’essenziale.

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Come immaginate il futuro dei profumi?
J.R. Difficile dirlo. Si può vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Nel nostro mondo ci sono ancora tanti lanci, un numero folle e molti di questi non sono interessanti. Ma penso che stia succedendo anche qualcosa di notevole, che lascerà il segno.
P.G. È avvincente vedere tutta questa nuova passione per i profumi, è bello assistere alla democratizzazione delle creazioni di nicchia attraverso i social. Fa paura, però, pensare che le persone non si prendano il tempo di approfondire: scegliere un’essenza vuol dire sentirla sulla pelle. Spero che riusciremo a capire come usare A.I. e social media per creare esperienze immersive.
Se poteste svegliarvi domani con una nuova abilità, quale sarebbe?
P.G. Suonare divinamente il piano.
J.R. Guarire il mal di schiena. E poi essere un bravo marinaio.
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