Infezioni fungine: un problema per la salute pubblica ancora sottovalutato


Ce lo spiega Paolo Antonio Grossi, ordinario di Malattie infettive all’Università dell’Insubria e Direttore clinico delle Malattie infettive e tropicali di Asst – Sette Laghi di Varese.
Professor Grossi, le infezioni fungine invasive stanno diventando un grosso problema di salute pubblica, soprattutto in ambito ospedaliero. Quali sono le cause di questo fenomeno e soprattutto ci sono dei pazienti più a rischio?
Allora, le cause di questo fenomeno sono legate sostanzialmente al crescente numero di soggetti a rischio, come lei ha giustamente sottolineato, che sono i soggetti immunosoppressi, cioè individui che vengono sottoposti a terapie immunosoppressive, per trapianti d’organo, per malattie ematologiche, per neoplasie;
ci sono molti farmaci che effettivamente sono in grado di modificare radicalmente quello che è la storia naturale di alcune malattie neoplastiche, però rendono poi il soggetto particolarmente vulnerabile.
Quindi c’è un incremento di soggetti a rischio e quindi un incremento di queste infezioni e in ambito ospedaliero.
Poi spesso le misure di prevenzione e controllo delle infezioni in ambito assistenziale non sempre vengono rispettate in modo rigoroso.
L’igiene delle mani, che è il cardine della prevenzione della trasmissione delle infezioni, a volte viene un po’ poco o coltivato e conseguentemente, siccome questi sono microorganismi che possono essere trasmessi da un soggetto all’altro con le mani, ovviamente questo soprattutto se il soggetto, ad esempio, ha dei cateteri venosi centrali, quindi ha dei dispositivi che superano quelli che sono le barriere anatomiche che normalmente si propongono tra l’ambiente esterno e il torrente circolatorio.
Il soggetto diventa più vulnerabile e se l’operatore non rispetta adeguatamente le norme, ovviamente, può trasmettere infezioni.
E poi ci sono fenomeni cosiddetti di traslocazione batterica o fungina, cioè soggetti che dall’intestino possono poi avere la traslocazione di questi microorganismi nel torrente circolatorio, quando c’è perdita dell’integrità di quelle che sono le barriere anatomiche anche a livello intestinale, quindi dipende anche lì dalla condizione particolare che il soggetto può avere.
La chirurgia addominale si complica spesso con infezioni e microbiche invasive proprio per questa ragione, per una perdita dell’integrità della barriera mucosale che impedisce poi l’ingresso di questi microbi.
Quali sono le più diffuse infezioni?
Allora, le più diffuse sono le infezioni da candida, di varie specie di candida e, purtroppo, anche nel nostro paese sta circolando candida di recente scoperta che si chiama candida Auris;
quindi abbiamo l’emergenza di questi funghi che si caratterizzano per un’elevata diffusibilità, si comportano come dei batteri gram negativi, e soprattutto sono multiresistenti, sono resistenti a tutti i farmaci antimicrobici di cui noi disponiamo e oggi ad esempio rezafungin, che è stato recentemente diciamo, autorizzato per l’immissione in commercio, è uno dei pochissimi farmaci attivo nei confronti di questa specie di candida;
e poi c’è candida parapsilosis che è una candida che ama molto le materie plastiche, quindi tipicamente si associa ai cateteri venosi centrali e anche questa, che in passato era sensibile al fluconazolo – un vecchio farmaco – oggi è resistente ad esso, e quindi, ovviamente, pone delle sfide per quanto riguarda poi la gestione ed è importante che i lavoratori siano in grado di diagnosticare la presenza di queste infezioni e di rilevare la presenza di determinanti di resistenza proprio perché il clinico possa poi mettere in atto le terapie adeguate per la cura di questi pazienti, anche perché il tasso di mortalità di queste infezioni non trattate è di oltre il 95%, quindi di fatto il paziente che non viene trattato adeguatamente muore.
Ma in questo contesto, parlando di prevenzione, il Covid non ci ha insegnato nulla?
Allora, il Covid per certi versi ha rappresentato in parte il responsabile anche di molte trasmissioni: abbiamo avuto tantissime infezioni fungine durante il Covid, ma anche perché gli operatori, anche legittimamente, si preoccupavano di tutelare se stessi a fronte di un qualcosa che inizialmente era totalmente sconosciuto e quindi usavano magari tre paia di guanti, ma quei guanti erano buoni per tutti e quindi veniva meno proprio quello che era della prevenzione della trasmissione delle infezioni.
Il Covid è stato un incubo, io l’ho vissuto da infettivologo con anni veramente bui, però sembra che non sia successo nulla, ormai la gente ha scotomizzato completamente quello che c’è stato e quindi si tende a rimuovere quello che non c’è più sul futuro.
L’ultima cosa, a livello proprio di resistenze, ma cosa si può fare per superare questo problema?
Per superarlo, allora, per primo evitare di trasmettere; quindi misure di prevenzione, igiene delle mani e poi avere a disposizione delle nuove molecole che siano in grado di superare le resistenze e di usarle in modo oculato, perché comunque come per tutti gli antimicrobici, antibatterici, antivirali, antifungini, vanno usati quando servono nel modo corretto, perché sennò questi microrganismi di mestiere fanno questo: cercano di sfuggire a quello che noi mettiamo in campo per eliminarli.
E quindi dobbiamo usarli con oculatezza, quindi ci vogliono competenze e bisogna formare fin dal corso di laurea, cioè ai giovani medici, una cultura di utilizzo appropriato dei farmaci antimicrobici.
L’antibiotico, l’antimicotico, ognuno si sente legittimato a prescriverlo.
e io ho un problema cardiologico, neurologico, chiamo lo specialista.
L’antibiotico no, lo prescrivono tutti e lo prescrivono spesso in modo inappropriato e questo fa sì che i microorganismi diventano quindi cultura.
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