Le lezioni da imparare dopo l’ennesima esondazione del Seveso

Settembre 25, 2025 - 14:00
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Le lezioni da imparare dopo l’ennesima esondazione del Seveso

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Erano quasi due anni che il Seveso non invadeva le strade e le piazze di Milano e della Brianza, allagando e paralizzando un territorio che trattiene il fiato ogni volta che il ritmo della pioggia accelera. Nell’autunno 2023, la vasca di laminazione di Bresso – gestita da MM Spa, quindi dal Comune di Milano – era in fase di collaudo e dunque non ancora attiva. Lunedì 22 settembre l’invaso era normalmente operativo: è entrato in funzione per la decima volta ma non è riuscito a fermare la forza dell’onda di piena, che ha rapidamente raggiunto i quartieri settentrionali dell’area urbana meneghina. 

L’esondazione del Seveso, la numero centodieci negli ultimi cinquant’anni, è durata dalle 10 alle 19. Decine di palazzi non hanno avuto corrente per quasi ventiquattro ore. Trecento bambini sono rimasti bloccati a scuola per quasi tutto il giorno, in attesa che il livello dell’acqua si abbassasse. Tante aziende che hanno magazzini o cantine nel quadrante nord della città hanno perso tutto, di nuovo: «È la terza volta in cinque anni che ci troviamo di fronte a questo problema. Il magazzino si è allagato e un muro è franato a causa della pioggia», si legge sull’account Instagram di Slums Dunk, onlus che organizza progetti legati al basket nelle baraccopoli del Kenya e dello Zambia. 

Precipitazioni così violente in questo periodo dell’anno sono (anche) figlie di un mare rovente che ha accumulato calore – ed energia da sprigionare in atmosfera – durante l’estate. Molte zone d’Italia sono passate rapidamente da temperature intorno ai trenta gradi ai nubifragi. Anche questa è estremizzazione climatica

L’ennesima esondazione del Seveso ci insegna che il cambiamento climatico è un abile maratoneta che si fa sempre rincorrere. A volte pensiamo, con un po’ di spavalderia, di averlo quasi raggiunto, di averlo finalmente domato grazie alla nostra astuzia e alle nostre strategie, ma poi fa di nuovo quello scatto felino che ci coglie alla sprovvista. Ogni nostra certezza si sgretola e torniamo al punto di partenza. 

La vasca di laminazione di Bresso (LaPresse)

L’adattamento climatico non può essere concepito come una gara. Sarebbe una competizione fuori dalla nostra portata, perché la natura sa essere indomabile. Alle 14 di lunedì, Arpa Lombardia aveva già registrato 211 millimetri di pioggia a Seveso (MB), 175 a Como, 165 a Cantù (CO), 90 a Milano nord. Nel quartiere milanese di Niguarda, il torrente ha sfiorato i cinque metri (4.92 per l’esattezza) sullo zero idrometrico, il livello a partire dal quale vengono misurate le altezze dell’acqua di un fiume. 

Un’altra lezione dell’esondazione di lunedì è che abbiamo poca dimestichezza con la geografia. Come sempre, l’opinione pubblica preferisce concentrarsi sulla scarsa pulizia dei tombini piuttosto che sulla morfologia di un torrente come il Seveso, che è lungo cinquantadue chilometri e bagna tre province lombarde. Non a caso, ci sono stati gravi allagamenti anche in Brianza, soprattutto a Meda. La vasca di laminazione di Bresso non può essere l’unica risposta in un’epoca in cui gli eventi meteorologici estremi appaiono sempre più frequenti e intensi (ed è solo l’inizio). 

Le attività umane hanno via via ristretto gli alvei del torrente e dei suoi affluenti. A causa della mancata infiltrazione delle acque nel suolo, le onde di piena raggiungono Milano molto più velocemente rispetto a tanti anni fa. Nel capoluogo lombardo, però, il corso d’acqua è tombato: significa che entra in un tubo sotterraneo che ha una capienza – massimo trentacinque metri cubi al secondo – non sempre compatibile con questo clima in tilt. In origine, il Seveso raggiungeva addirittura il centro storico di Milano. Oggi è soffocato sotto il cemento per quasi nove chilometri, dal confine tra Bresso e Milano fino alla confluenza con il Naviglio Martesana.

Rimediare alla cementificazione del passato non è facile né immediato. Nel frattempo, è fondamentale limitare i danni con altre vasche di laminazione che siano in grado di coinvolgere l’intero corso d’acqua, non solo la porzione che interessa Milano. Lunedì 21 settembre, oltre al bacino di Bresso sotto il Comune di Milano, è entrato in funzione per la prima volta l’invaso di Senago, composto in realtà da tre vasche. 

Marco Granelli, assessore alle Opere pubbliche del Comune di Milano, ha detto a Repubblica che il sistema di Senago, nonostante si sia attivato, «non è ancora a pieno regime ed è operativo al sessanta per cento». Gli invasi di Senago, in provincia di Milano, sono gestiti dall’Agenzia interregionale del fiume Po (Aipo), un ente amministrato congiuntamente dalle regioni Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. È quindi fuori dalle competenze del Comune.

«Se non vogliamo più trovarci in una condizione simile – prosegue Granelli – bisogna completare il famoso piano di dieci anni fa, nato sotto il governo Renzi e poi smontato da quello gialloverde, che ne prevede quattro, le altre a Lentate e a Paderno Dugnano-Varedo». La prima è ancora un cantiere, mentre la seconda – la più grande – è in fase di progettazione.  

«Chiedo a chi rappresenta i partiti al governo della Regione Lombardia e che accusa il Comune di Milano di non sapere gestire l’emergenza idrogeologica, come siamo messi con le vasche a nord di Bresso che da anni aspettiamo di vedere costruite e in funzione? La vasca di Bresso non è stata sufficiente a contenere l’enorme massa di acqua che è scesa a nord della città. Quanto dovremo aspettare ancora?», ha scritto su Instagram Elena Grandi, assessora milanese al Verde e all’Ambiente. 

Il Seveso prosegue sotto terra a Milano (Wikimedia Commons)

Come detto all’inizio, è ingenuo pensare di risolvere il problema – l’emergenza climatica non ha margini di miglioramento nel breve-medio periodo – facendo affidamento solo su opere idrauliche monumentali (e costose). Vale per il Seveso come per tutti gli altri fiumi della Pianura Padana, d’Italia, del mondo. Secondo Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, è necessario ripristinare la valle del Seveso attraverso «un lavoro pianificato per restituire al torrente le sue naturali pertinenze territoriali, liberandolo dalle urbanizzazioni che le hanno invase. La valle del Seveso deve trovare spazio in tutti i piani urbanistici dei Comuni attraversati».

Per arginare gli effetti del cambiamento climatico (adattamento) non basta costruire grandi vasche di laminazione e fermare il consumo di suolo. Servono progetti ampi e strutturali di depavimentazione e rigenerazione territoriale, che puntino – scrive Legambiente in una nota – a «restituire al Seveso il suo naturale andamento». Parallelamente, le nostre città hanno bisogno di superfici permeabili – erba, terriccio – per limitare i danni delle alluvioni. 

Un esempio di successo riguarda il Reno, che nasce in Svizzera e sfocia dopo più di milletrecento chilometri nel mare del Nord. Un lungo intervento di rinaturazione ha riconsegnato al fiume quasi tutti gli spazi verdi che aveva in origine, aumentando di circa mille metri cubi d’acqua al secondo la portata che può tollerare durante un’alluvione. Perché a una natura imprevedibile e fuori controllo, bisogna rispondere con la stessa moneta, ossia con altro verde. 

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Redazione Redazione Eventi e News