Londra: una nuova frontiera nella lotta alla demenza

La demenza è una delle sfide sanitarie più urgenti del nostro tempo. Solo nel Regno Unito, si stima che oltre 900.000 persone convivano con una forma di demenza, e il numero è destinato a superare il milione entro il 2030. Nonostante gli enormi sforzi nella ricerca, le terapie disponibili rimangono limitate e spesso inefficaci nel rallentare la progressione della malattia. Tuttavia, un’innovazione radicale nata nel cuore della comunità scientifica britannica potrebbe cambiare radicalmente le prospettive.
Per la prima volta, un gruppo di ricercatori sta utilizzando tessuto cerebrale umano vivo per studiare in modo diretto le dinamiche della demenza. Questa tecnica all’avanguardia, già definita “una rivoluzione silenziosa”, apre possibilità senza precedenti nella comprensione delle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e la demenza frontotemporale.
Che cos’è il tessuto cerebrale vivo?
Contrariamente a quanto si possa pensare, il termine “tessuto vivo” non si riferisce a tessuti prelevati da persone viventi in modo invasivo. Si tratta, invece, di campioni di tessuto cerebrale ottenuti durante interventi neurochirurgici programmati, come quelli per l’epilessia o per rimuovere tumori benigni. Questi frammenti, che verrebbero normalmente scartati, sono invece conservati e mantenuti in vita per alcune ore in condizioni controllate.
Grazie a questa metodologia, gli scienziati possono osservare il funzionamento reale dei neuroni umani in un ambiente il più vicino possibile a quello naturale. Ciò rappresenta un netto superamento rispetto all’uso tradizionale di modelli animali o di cellule coltivate artificialmente, che spesso non riescono a replicare fedelmente la complessità del cervello umano.
La ricerca nel Regno Unito
A guidare questa iniziativa pionieristica sono istituzioni di prestigio come l’University College London (UCL), il King’s College London e il Francis Crick Institute. Questi centri collaborano con ospedali e cliniche neurologiche per ottenere i campioni e analizzarli con tecnologie avanzate, come la microscopia a due fotoni, l’elettrofisiologia e la sequenziatura genica.
Uno degli aspetti più promettenti è la possibilità di monitorare la comunicazione tra i neuroni in tempo reale, osservando come le sinapsi si modificano in presenza delle proteine tossiche associate alla demenza, come la beta-amiloide o la tau fosforilata. Questo consente di testare l’efficacia di nuovi farmaci in modo più diretto e realistico.
Impatto sulla ricerca farmaceutica
Una delle principali difficoltà nello sviluppo di terapie contro la demenza è la scarsa efficacia traslazionale: molti farmaci che funzionano nei modelli animali falliscono quando vengono testati sugli esseri umani. La possibilità di utilizzare tessuto cerebrale umano vivo potrebbe ridurre drasticamente il gap tra laboratorio e clinica, migliorando la selezione delle molecole più promettenti e abbattendo i costi delle sperimentazioni.
Inoltre, il tessuto può essere confrontato con il profilo clinico del paziente da cui è stato prelevato, permettendo di creare modelli personalizzati e aprendo la strada alla medicina di precisione.
Comprendere l’inizio della malattia
Uno degli aspetti più affascinanti di questo approccio è la possibilità di studiare le fasi iniziali della malattia, quando ancora non sono presenti sintomi evidenti. I ricercatori sperano di individuare biomarcatori precoci, ovvero segnali misurabili che indicano l’inizio di un processo neurodegenerativo.
Identificare questi segnali sarebbe fondamentale per lo sviluppo di strategie preventive, che potrebbero posticipare o addirittura evitare l’insorgenza della demenza in individui a rischio.
Etica e consenso
L’utilizzo di tessuto cerebrale umano vivo è reso possibile grazie a un rigoroso protocollo etico, che include il consenso informato dei pazienti e la collaborazione tra neurologi, ricercatori e bioeticisti. I pazienti sono informati in anticipo sul possibile utilizzo dei campioni rimossi e hanno la possibilità di rifiutare in qualsiasi momento.
Questa trasparenza ha permesso di costruire un rapporto di fiducia tra scienza e società, favorendo una cultura della partecipazione attiva alla ricerca.
Il ruolo globale del Regno Unito
Con questa iniziativa, il Regno Unito si conferma leader nella ricerca neurologica a livello mondiale. Il finanziamento pubblico e privato, la collaborazione interdisciplinare e l’accesso a infrastrutture all’avanguardia hanno permesso di creare un ecosistema fertile per l’innovazione.
Organizzazioni come Alzheimer’s Research UK e il Dementia Research Institute stanno investendo risorse significative per ampliare l’uso di questa tecnica in studi multicentrici, coinvolgendo anche partner internazionali.
Prospettive future
Il potenziale della ricerca basata su tessuto cerebrale vivo è ancora tutto da esplorare. Alcuni esperti ritengono che entro 5-10 anni potremmo avere nuove terapie più mirate, in grado non solo di rallentare la progressione della demenza, ma anche di ripristinare alcune funzioni cognitive.
Un altro filone in sviluppo riguarda la possibilità di usare l’intelligenza artificiale per analizzare i dati raccolti dai campioni e identificare pattern diagnostici finora invisibili all’occhio umano.
Conclusione
La lotta contro la demenza ha finalmente un nuovo potente alleato: il cervello umano stesso. L’utilizzo di tessuto cerebrale vivo, reso possibile dall’ingegno e dalla determinazione dei ricercatori britannici, segna un cambiamento radicale nel modo in cui studiamo, comprendiamo e curiamo le malattie neurodegenerative.
In un’epoca in cui l’invecchiamento della popolazione rende urgente una risposta efficace alla demenza, il Regno Unito dimostra che la scienza può davvero fare la differenza, offrendo speranza a milioni di persone e alle loro famiglie.
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