Il caso Bignami illumina le due grandi ambiguità del governo

Novembre 20, 2025 - 02:00
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Il caso Bignami illumina le due grandi ambiguità del governo

Mi riesce difficile attribuire al caso, all’imperizia o alla sottovalutazione dei prevedibilissimi effetti della polemica il fatto che il capogruppo di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, all’indomani del Consiglio supremo di difesa convocato da Sergio Mattarella per ribadire il fermo impegno italiano al fianco dell’Ucraina, attacchi apertamente il consigliere del Quirinale, Francesco Saverio Garofani, che di quell’organismo è il segretario.

Non si può sostenere un giorno che Giorgia Meloni sia la statista che tutto il mondo ci invidia, che proprio sulla politica internazionale darebbe il meglio di sé, e il giorno dopo attribuirle un tale grado di ingenuità, inesperienza, insipienza, ai limiti dell’analfabetismo istituzionale e diplomatico (sul fatto che ai sostenitori della prima tesi si sia aggiunto ieri anche Carlo Calenda, dichiarando che nel suo governo ideale la vedrebbe benissimo come ministro degli Esteri, ho perso anche la voglia di fare battute, alzo le mani, abbiate pazienza, ma c’è un limite anche al senso dell’umorismo).

Per quanto riguarda il carattere pretestuoso della polemica, basta dire che tutto parte da un’indiscrezione riportata da Maurizio Belpietro sulla Verità, secondo cui Garofani (ex deputato del Pd) in una cena avrebbe fatto delle banalissime osservazioni sul fatto che «un anno e mezzo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra» e che ci vorrebbe «un provvidenziale scossone». Su tali banalità, proferite non già in una pubblica intervista, cosa che sarebbe stata ovviamente del tutto impropria, ma in una privata conversazione, Belpietro ha montato addirittura l’accusa di un complotto del Quirinale per far cadere il governo, e Bignami lo ha rilanciato chiedendo una pubblica presa di posizione di Garofani.

Il Quirinale ha espresso quindi stupore «per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo». L’asprezza dei toni, così inusuale nelle comunicazioni del Quirinale, dà la misura della durezza e anche della portata dello scontro.

Del resto, non va dimenticato che la stessa riunione del Consiglio supremo di difesa, e l’enfasi con cui il comunicato finale aveva riaffermato la partecipazione italiana «alle iniziative dell’Unione europea e della Nato» a favore dell’Ucraina, erano già un tentativo di correggere la rotta dopo le molte ambiguità manifestate dalla maggioranza sull’argomento, culminate nell’annullamento del viaggio del ministro della Difesa Guido Crosetto negli Stati Uniti, diretta conseguenza delle esitazioni dell’esecutivo sulla partecipazione al programma Purl (l’acquisto di armi americane da fornire agli ucraini). Il vero problema, insomma, è sempre quello che potremmo definire il sovranismo ibrido di Meloni.

In ogni caso, non è la prima volta che da Fratelli d’Italia arriva un attacco diretto alla presidenza della Repubblica. Indimenticabile il momento in cui la presidente del Consiglio, all’indomani delle parole di Mattarella sul «fallimento» rappresentato dalle manganellate della polizia agli studenti di Pisa, aveva definito pericoloso «togliere il sostegno delle istituzioni alla polizia», salvo poi, a qualche giorno di distanza, sostenere di non avercela affatto con il presidente della Repubblica.

Il caso Bignami evidenzia dunque non una, ma due pericolose ambiguità della destra al governo, entrambe direttamente collegate con la riforma del premierato, solo temporaneamente accantonata, che riguardano da un lato la collocazione internazionale del paese e dall’altro il ruolo del Capo dello Stato (cui la riforma toglierebbe di fatto, con la facoltà di scegliere il presidente del Consiglio e di sciogliere le Camere, ogni reale potere).

Se al referendum sulla Giustizia vincerà il Sì, la maggioranza tornerà alla carica anche sul premierato, statene sicuri, puntando a fare cappotto. I tanti sinceri sostenitori della separazione delle carriere in nome del garantismo e dello stato di diritto farebbero bene a rifletterci con attenzione.

Leggi anche l’articolo di Mario Lavia su questo argomento

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