Le ragioni del No al referendum sulla separazione delle carriere: ipergarantisti e manettari tutti insieme, perché?
Una legge costituzionale non guarda, mai al contingente, piuttosto al futuro. Delinea una prospettiva, traccia confini, impone limiti dentro cui impostare un percorso che incrocia i diritti dei cittadini e genera nuovi equilibri nei rapporti tra le istituzioni dello Stato che servono a garantirli.
Se si guarda con questa lente d’ingrandimento alla coalizione che sostiene il “sì” alla riforma del Titolo IV, Parte II della Costituzione, si impone un interrogativo, chi sta sbagliando? Si trovano, infatti, sullo stesso fronte da una parte gli ultras garantisti e libertari, dall’altra i “manettari” che chiedono di “buttare la chiave” delle anguste celle in cui sono condannati a sopravvivere i detenuti nelle patrie galere. Com’è possibile che costoro siano accomunati dalla stessa idea di Giustizia, dalla stessa prospettiva costituzionale di Giustizia, sicché tutti insieme sostengono le ragioni della riforma?
L’unica risposta plausibile, mi pare, si rintracci nella comune volontà di indebolire la magistratura nei rapporti con gli altri poteri dello Stato. Da questo effetto, gli ultras garantisti si attendono un indebolimento dell’azione repressiva, i “manettari” una maggiore capacità di controllo e orientamento della medesima azione repressiva (che è più gradita quando si concentra su marginalità e dissenso sociale, meno quando si occupa di colletti bianchi). Insomma, ognuno sta facendo la sua scommessa, persuaso che sarà la sua idea di Giustizia e non quella dell’alleato del momento a prevalere, una volta che il nemico comune – l’attuale statuto costituzionale della magistratura – sarà ridimensionato. E siccome le parole sono importanti, specie quando descrivono materie tecniche di difficile comprensione diffusa, piuttosto che di riforma della giustizia sarebbe più giusto parlare di riforma della magistratura nei suoi rapporti con la politica. E’ pacifico, infatti, che questa riforma non migliorerà l’efficienza della giustizia, dando ai cittadini risposte più celeri; non eliminerà gli errori giudiziari, ma anzi li renderà più probabili, stimolando di più il pubblico ministero verso la difesa dei risultati della polizia giudiziaria, piuttosto che verso la loro valutazione critica; non aumenterà i diritti degli indagati e neanche la qualità dell’intervento processuale dei difensori che anzi si vedranno contrapposto una corpo di pubblici ministeri sempre più autoreferenziale e coeso.
Un’altra cosa è certa. Questa riforma genererà nuove spese, derivanti dalla duplicazione dei CSM e dalla creazione dell’Alta Corte, con conseguente riduzione del budget generale destinato alla giustizia che, invece, di maggiori risorse avrebbe bisogno: per aumentare il numero e la qualità del personale amministrativo giudiziario, garantire un’infrastruttura e una dotazione informatica all’altezza dei tempi, aumentare il numero del personale di polizia penitenziaria e di quello amministrativo inframurario, migliorare la infrastrutture detentive, implementare le risorse destinate al gratuito patrocinio, a garanzia della difesa dei meno abbienti. I numeri, poi, svelano l’inconsistenza delle ragioni poste a fondamento della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. L’attuale separazione delle funzioni rende, infatti, irrilevante il numero dei passaggi da giudice a pubblico ministero (e viceversa), mentre la percentuale di assoluzioni esclude qualsiasi asservimento del giudice – già ora terzo e imparziale a mente dell’art. 111 Costituzione – al pubblico ministero. Peraltro, se l’obiettivo fosse stato davvero la separazione delle carriere quel risultato poteva essere ottenuto anche attraverso una legge ordinaria, senza bisogno di modificare la costituzione.
E torniamo al punto di partenza, per risolvere i problemi segnalati dall’eterogenea schiera dei fautori della riforma, è necessario cambiare la Costituzione? Il punto di rottura più evidente degli equilibri nei rapporti tra organi dello Stato, è posto dalla nomina per puro sorteggio dei soli componenti togati del CSM. Si dice che se un magistrato può giudicare controversie rilevanti, potrà anche comporre il CSM. Ma davvero ogni giocatore di calcio può essere estratto a sorte per fare l’allenatore o meglio ancora per fare il dirigente? Se questo fosse vero, significherebbe che l’allenatore o il dirigente sono due burocrati e non, invece, due soggetti determinanti le sorti della squadra. Ecco questa è la differenza che passa tra fare il lavoro ordinario di giudice o pubblico ministero e comporre il CSM. E’ chiaro, dunque, come sorteggiando i togati da selezionare a questo scopo, si svilisce anche il ruolo costituzionale del CSM. Non più organismo che compie scelte decisive su come si esercita la giurisdizione nel nostro Paese e, quindi, su quale tutela concreta si garantisce ai diritti dei cittadini, ma un mero gestore burocratico di pratiche.
Se, invece, la preoccupazione dei riformisti fosse intervenire sugli scandali relativi alle nomine dei dirigenti posti a capo dei vari Uffici (tacendo degli altrettanto scandalosi tentativi della politica di giocarvi un ruolo), non sarebbe affatto necessario cambiare la Costituzione, basterebbe eliminare o molto ridurre la discrezionalità del CSM in quelle nomine. Insomma, basta un banale regolamento, una legge secondaria, non già la modifica della Costituzione! E’ evidente, allora, che si interviene su questa per ammansire la magistratura, indebolire il suo ruolo di interprete della legislazione euro-unitaria, che la eleva a limite del potere della maggioranza politica contingente, a tutela dei diritti fondamentali. Qualcosa che riguarda non i magistrati, ma, appunto, la tutela dei diritti dei cittadini. Davvero una maggiore ingerenza della politica nella magistratura, darà migliore garanzie di tutela ai cittadini? Davvero una magistratura più debole e infiacchita è un risultato auspicabile, affinché tutti i cittadini – e non solo i potenti di turno – vedano tutelati i loro diritti? Sarà utile porsi queste domande per arrivare ben consapevoli alla scelta referendaria e non perdere l’orientamento nel frastuono di disinformazione mediatica che ci circonda.
* Segretario di Magistratura democratica
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