Perché la tassa sui cibi ultraprocessati non migliorerà la salute degli europei

Novembre 25, 2025 - 16:30
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Perché la tassa sui cibi ultraprocessati non migliorerà la salute degli europei

Una tassa europea sul cibo spazzatura? Se ne parla da tempo, ma pare che questa volta ci siamo vicini. L’imposta soddisferebbe due obiettivi: da un lato, la Commissione europea ha bisogno di individuare entrate (e quindi basi imponibili) per finanziare le politiche comuni senza chiedere agli Stati membri maggiori trasferimenti (è la stessa ragione per cui, tempo fa, si parlava di una tassa europea sulle grandi imprese); dall’altro, l’ambizione di raddrizzare il legno storto dell’umanità attraverso tasse e regole è particolarmente sentita a Bruxelles, che non vede l’ora di sperimentare strumenti nuovi.

Non ha bisogno di più risorse l’Unione? Non è auspicabile migliorare la dieta degli europei? L’entusiasmo con cui si risponda affermativamente a queste domande porta a una risposta ovvia e semplice. Che, purtroppo, come spesso accade, è anche sbagliata.

Sbagliata l’imposta sui cibi ultraprocessati lo è, anzitutto, nel merito. Vi è un’ampia letteratura sull’uso della leva fiscale (ma anche di forme di regolamentazione più invasive o divieti) per indurre le persone a consumare cibi sani. Nella maggior parte dei casi, i risultati sono stati modesti. Di solito, questi meccanismi hanno danneggiato le famiglie a basso reddito senza migliorarne la salute. 

È vero che, in alcuni casi, l’applicazione di imposte del genere ha colpito il consumo dei beni tassati, ma spesso ciò si è risolto semplicemente nell’aumento della domanda di prodotti più economici, con caratteristiche analoghe, e comunque non ha prodotto effetti discernibili sulla prevalenza di obesità e sovrappeso. L’Italia, in materia, ha poi un’esperienza tutta sua, visto che la telenovela della sugar tax si ripete da anni sempre uguale a sé stessa. 

Inoltre, l’oggetto stesso della tassa è difficile da definire: l’idea di cibo ultraprocessato, apparentemente al centro dei desiderata di Bruxelles, andrebbe a colpire non il contenuto calorico dei prodotti, ma il processo produttivo. Ne aveva discusso il nutrizionista Giorgio Donegani in un convegno dell’IBL dedicato proprio all’anti-scienza.

C’è anche una questione più generale. La Commissione è alla ricerca di gettito, proprio perché il bilancio europeo deve in qualche modo poggiare su entrate certe. Di per sé, la cosa potrebbe anche essere ragionevole; non lo è che si tratti di gettito aggiuntivo. Non è che, se non passa per i forzieri degli Stati membri, allora non grava sulle spalle dei contribuenti: per questi ultimi è ben magra consolazione sapere se i loro soldi sono intermediati dal paese di appartenenza. 

L’Unione europea è già oggi una delle aree del globo caratterizzate dalla più alta pressione fiscale e dalla più pervasiva presenza pubblica. Prima ancora di chiederci quali nuove tasse creare, dovremmo ragionare seriamente su quali spese tagliare – indipendentemente dal livello di governo.

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