Alert Greenpeace su Shein, mentre la Commissione Ue interpella l’azienda sulla vendita di prodotti illegali

Novembre 27, 2025 - 06:00
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Alert Greenpeace su Shein, mentre la Commissione Ue interpella l’azienda sulla vendita di prodotti illegali

La Commissione europea ha inviato oggi una richiesta di informazioni a Shein a norma del regolamento sui servizi digitali, a seguito di indicazioni preliminari secondo cui si starebbero offrendo sul mercato articoli illegali, come armi e bambole sessuali con sembianze infantili. A seguito della vendita di prodotti illegali in Francia e di diverse relazioni pubbliche, la Commissione Ue sospetta che il sistema dell’azienda cinese di fast fashion possa rappresentare un rischio sistemico per i consumatori in tutta l'Unione europea.

La Commissione chiede ora formalmente alla piattaforma di fornire informazioni dettagliate e documenti interni sul modo in cui garantisce che i minori non siano esposti a contenuti inadeguati all'età, in particolare attraverso misure di garanzia dell'età, e sul modo in cui impedisce la circolazione di prodotti illegali sulla sua piattaforma. La Commissione Ue sta inoltre indagando sull'efficacia di tali misure di mitigazione adottate da Shein. 

Il regolamento sui servizi digitali impone alle piattaforme online di dimensioni molto grandi come Shein, di valutare e attenuare adeguatamente i rischi sistemici, quali i rischi per i minori o la diffusione di contenuti illegali, che possono derivare dai loro sistemi e dalla progettazione o dal funzionamento dei loro servizi.

La Commissione Ue sta monitorando attivamente il rispetto da parte delle suddette piattaforme, tra cui Shein, dei loro obblighi ai sensi del regolamento sui servizi digitali in tutta l'Unione europea ed è pronta ad agire. Questa è la terza richiesta di informazioni che Bruxelles invia al marchio cinese di fast fashion.

Marchio che tra l’altro oggi si trova al centro di una denuncia lanciata da Greenpeace: gli abiti di Shein contengono ancora sostanze chimiche pericolose che violano i limiti imposti dall’Unione europea, svela un nuovo rapporto diffuso da Greenpeace Germania a pochi giorni dal Black Friday. Tre anni dopo la sua ultima indagine, l’organizzazione ambientalista è tornata ad analizzare 56 capi venduti dal colosso cinese del fast fashion con l’inchiesta “Shame on you, Shein!, scoprendo che circa un terzo degli indumenti testati (18 su 56) contiene sostanze pericolose oltre i limiti stabiliti dal Regolamento europeo per le sostanze chimiche (Reach regulation), inclusi vestiti per bambini.

Greenpeace fa sapere di aver rilevato plastificanti ftalati e Pfas, i cosiddetti “inquinanti eterni” dalle proprietà idrorepellenti e antimacchia, noti per la loro correlazione con cancro, disturbi riproduttivi e della crescita, indebolimento del sistema immunitario. Sono esposti al rischio i lavoratori e l’ambiente nei Paesi di produzione, ma anche i consumatori finali attraverso il contatto con la pelle, il sudore o l’inalazione delle fibre degli indumenti che, una volta lavati o gettati via, possono inoltre contaminare il suolo e i fiumi ed entrare nella catena alimentare. Già nel 2022 Greenpeace aveva trovato sostanze chimiche pericolose oltre i limiti legali stabiliti dall’Ue nei prodotti Shein: l’azienda, dopo l’indagine, aveva ritirato gli articoli, impegnandosi a migliorare la gestione delle sostanze chimiche. Ma le nuove analisi dimostrano che il problema permane.

«Shein rappresenta un sistema guasto di sovrapproduzione, avidità e inquinamento. Il gigante del fast fashion inonda il pianeta di abiti di bassa qualità che, nonostante le promesse, continuano a risultare contaminati da sostanze chimiche pericolose. L’imminente Black Friday porterà ancora una volta questa follia della moda veloce all’estremo», dichiara Moritz Jäger-Roschko, esperto di Greenpeace sull'economia circolare. «L’azienda sembra disposta ad accettare danni alle persone e all'ambiente: i prodotti segnalati nei test precedenti riappaiono in forma quasi identica, con le stesse sostanze pericolose. Questi risultati dimostrano chiaramente che l'autoregolamentazione volontaria è inutile: per responsabilizzare davvero i produttori, abbiamo bisogno di leggi anti-fast fashion vincolanti». 

Secondo Greenpeace, una legge ispirata alla normativa entrata in vigore in Francia – che ha recentemente introdotto una tassa sul fast fashion, promosso l’economia tessile circolare e vietato la pubblicità della moda ultraveloce (compresa quella sui social) – potrebbe frenare la sovrapproduzione del fast fashion e mitigare gli impatti dannosi dell’industria. Greenpeace chiede inoltre di applicare la legislazione europea sulle sostanze chimiche a tutti i prodotti venduti nell’Ue, compresi quelli online, di rendere le piattaforme legalmente responsabili di eventuali violazioni e di consentire alle autorità la loro sospensione in caso di ripetute inosservanze: soltanto una regolamentazione vincolante può proteggere la salute dei consumatori e gli ecosistemi di tutto il mondo.

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