Confindustria: le bollette italiane sono le più care d’Europa, più 30% rispetto alla media Ue

Le bollette italiane restano tra le più care d’Europa con un aggravio di spesa del 30% rispetto alla media dei paesi comunitari. È quanto emerge dalle elaborazioni di Confindustria su dati Eurostat e Gme relativi al 2025, che confermano un gap competitivo e strutturale rispetto ai principali Paesi Ue in tutte le fasce di consumo. Le differenze derivano dal prezzo della materia prima, dai costi di rete e di dispacciamento più elevati e da minori compensazioni sui costi indiretti Ets.
Nel primo semestre 2025, le imprese italiane hanno pagato l’energia elettrica in media 278 euro/MWh, contro i 242 della Germania, i 183 della Francia, 171 della Spagna e i 216 della media europea. Il prezzo italiano è dunque quasi il 30% in più della media Ue, con un aggravio che incide trasversalmente su piccole e medie imprese e grandi consumatori.
Secondo i dati Gme (gennaio-ottobre 2025), il prezzo medio dell'energia elettrica all'ingrosso in Italia è stato di 116 euro/Mwh, contro gli 87 della Germania, i 65 della Spagna e i 61 della Francia. Un divario che riflette la diversa composizione del mix energetico: in Italia, il gas naturale copre il 70% delle ore di produzione; in Francia domina il nucleare; in Germania prevalgono carbone ed eolico; in Spagna, il mix è più bilanciato tra gas, nucleare e una decisa accelerazione sul fronte delle rinnovabili.
Il prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica viene definito, ogni ora, dall'impianto più costoso ancora necessario per soddisfare la domanda: è la cosiddetta "tecnologia marginale". In Italia, per la maggior parte delle ore, questo ruolo è svolto da centrali termoelettriche alimentate a gas naturale, che emettono grandi quantità di CO2.
L’analisi di Confindustria evidenzia inoltre che sul fronte delle compensazioni per i costi indiretti Ets, la distanza è ancora più marcata rispetto agli altri paesi europei: Germania 2,4 miliardi di euro, Italia appena 150 milioni (che saliranno a 600 milioni dal 2025). Una differenza, sottolinea la principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia che penalizza ulteriormente la competitività delle imprese italiane ad alta intensità energetica.
Seguire la strada imboccata dalla Spagna sull’accelerazione delle rinnovabili può far segnare al nostro paese una svolta. Madrid sta dimostrando che con eolico e solare si può crescere il triplo dell’eurozona riducendo i gas serra. L’Italia ora può correggere la rotta rimuovendo errori commessi in passato sulle aree idonee, anche se non sembra lo stia ancora facendo con il decreto Transizione 5.0, e investendo in un settore in cui siamo ancora troppo indietro, quell’agrivoltaico, che può portare benefici stimabili in 11,8 miliardi di euro. Ma anche in questo caso, serve un’iniziativa normativa, per far segnare una svolta. Ha spiegato nei giorni scorsi il presidente di ConfagriCer, Nicola Gherardi, intervenuto alla prima conferenza italiana sull'agrivoltaico, organizzata da Eta Florence Renewable Energies presso la Camera di Commercio di Firenze: «L'interesse delle aziende agricole verso l'agrivoltaico avanzato è molto forte, anche per avere una maggiore competitività sui mercati e per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica che ci siamo dati. Non si tratta solo di produrre energia pulita, è un modello che integra fotovoltaico e coltivazioni, trasformando i terreni agricoli in spazi multifunzionali». Il problema, ha spiegato il componente della Giunta nazionale di Confagricoltura è che l’iter autorizzativo è ancora troppo complesso: «Ci sono diversi progetti in itinere, ma i percorsi autorizzativi sono abbastanza complessi: ad oggi vige una normativa sostanzialmente frammentata e anche gli iter tra le Regioni non sono omogenei nell'applicazione delle procedure, creando talvolta interpretazioni difformi».
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