«Contro la violenza di genere il primo passo è la consapevolezza delle vittime»
«Femminicidi e orfani: politiche, interventi e prospettive» è il titolo del convegno che si terrà il 25 novembre dalle 14 alle 17.30 presso la Clinica Mangiagalli (via Commenda 2, Milano) in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’iniziativa è promossa da SVSeD (Soccorso Violenza Sessuale e Domestica, centro antiviolenza del Policlinico di Milano) e dalla Rete antiviolenza cui fanno parte anche Caritas ambrosiana e Farsi Prossimo.
Dalla metà degli anni Novanta la Caritas è attiva su questo fronte attraverso il Servizio Donne (SeD): offre aiuto, ascolto, supporto e accompagnamento alle donne grazie a un’équipe multidisciplinare composta da due educatrici, una psicologa e un’assistente sociale. «Per noi è una grande ricchezza perché ci permette di andare incontro ai bisogni delle donne a partire dalle loro esigenze, offrendo con un percorso articolato», spiega Sabrina Ignazi, psicologa e coordinatrice del SeD. Lo sportello è gratuito, aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17 (piazza San Giorgio 2, Milano; cell 337.1175658), ma occorre telefonare perché le operatrici ricevono su appuntamento. Farsi Prossimo, aderendo alla Rete dei centri antiviolenza del Comune di Milano, riceve finanziamenti e da una decina d’anni collabora con Caritas mettendo a disposizione 4 appartamenti fuori Milano (l’indirizzo è segreto) per ospitare donne con figli piccoli.
A chi è rivolto il vostro servizio?
A donne maggiorenni (per le minorenni c’è SVSeD) cui offriamo un primo ascolto rispetto alla situazione che stanno vivendo. Utilizziamo precisi indicatori, che ormai fanno parte della letteratura internazionale, per una valutazione rispetto al rischio che le donne corrono all’interno della relazione. A volte ci esprimono un malessere, una difficoltà, ma quando vengono da noi non sempre sono consapevoli che si tratta di maltrattamento, perché non sono relazioni conflittuali con screzi e litigi che fanno parte della vita di coppia, ma situazioni di sbilanciamento di potere e di violenza. Sono comportamenti che le donne reputano normali, invece vanno nella direzione di minare la loro autostima e di isolarle rispetto al loro contesto sociale e familiare. Per noi sono indicatori molto chiari, ma se la donna non si rende conto occorre compiere con lei un lungo lavoro di consapevolezza.
Quante donne si rivolgono a voi in un anno?
Le telefonate sono un centinaio, poi circa un terzo diventano “prese in carico”: quindi offriamo alle donne la possibilità di compiere un percorso che può essere molto breve oppure lungo e complesso. Assistiamo in media 50 donne, perché alcune continuano anche oltre l’anno. A volte nei vissuti si intrecciano tante modalità di prevaricazione, come l’isolamento, il controllo ossessivo, la gelosia, ma anche la violenza economica, per cui alle donne viene impedito di lavorare, oppure di gestire liberamente il proprio stipendio. Questo significa che nella relazione sono molto dipendenti dal partner e hanno forti remore – comprensibili – a uscirne, soprattutto se hanno figli, perché non sono autonome economicamente.
E in caso di denuncia dei maltrattanti?
Abbiamo tre consulenti legali esterne, due penaliste e una civilista, che hanno una lunghissima esperienza in ambito di maltrattamento e violenza di genere. Ci danno grande supporto in tutte le situazioni in cui c’è già una denuncia, oppure è necessario pensarla e agire. Inoltre, poiché la metà delle donne che vengono da noi sono straniere, possiamo avvalerci anche di mediatrici culturali di Farsi Prossimo, perché abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a comunicare; spesso le attiviamo anche quando le donne parlano abbastanza bene l’italiano, perché esprimersi nella propria lingua facilita la trasmissione dei contenuti anche più emotivi.
In Italia l’83% delle donne che nel 2024 si sono rivolte ai centri di antiviolenza hanno subìto anche violenza psicologica…
Per noi la violenza psicologica è alla base, presente anche quando non c’è quella fisica. Sono tutte modalità per minare le certezze delle donne, svilirle e umiliarle. La violenza psicologica noi la ravvisiamo sempre, è quella più pervasiva e che rende le donne più insicure quando decidono di uscire dalla relazione, perché si sentono svuotate rispetto all’autodeterminazione, dubitano persino di loro stesse. Con loro occorre fare un grande lavoro per ricostruire quella parte che il maltrattante ha sgretolato nel corso della relazione.
Violenze e maltrattamenti non avvengono solo all’interno di famiglie disagiate o ai margini, ma anche in contesti apparentemente normali…
Noi sappiamo – non soltanto sulla base del nostro osservatorio, ma anche dai dati che arrivano da più parti -, che la violenza e il maltrattamento intra familiare sono trasversali a tutte le fasce socio-economiche: non c’è una distinzione rispetto all’istruzione o alla nazionalità. Prima ho detto che arrivano da noi tante donne straniere, questo perché le italiane riescono ad attivare risorse proprie, possono fare riferimento alla rete famigliare e amicale. Le straniere invece sono più isolate, non conoscono la lingua, a volte la loro stessa comunità le vincola e hanno paura dello stigma sociale. Per loro quindi è più facile, da un certo punto di vista, chiedere aiuto all’esterno. Questo non significa che tra le donne straniere ci siano più vittime di violenza.
Oggi molte relazioni “malate” si riscontrano anche tra i giovani. La parola d’ordine è “prevenzione”. Come e dove farla?
Esatto. L’altro versante su cui lavoriamo tanto è la prevenzione sui giovani e da quest’anno facciamo interventi anche alla scuola primaria. Con loro non si parla di violenza se non esce in modo esplicito, ma partiamo dagli stereotipi di genere, quindi dalle basi culturali su cui la violenza si innesta e trova terreno fertile. Con i bambini affrontiamo il tema delle relazioni, con i più grandi (secondarie di primo e secondo grado) quello del rispetto e che cosa nelle prime relazioni sentimentali e affettive può essere ammesso oppure no. Alcune scuole già ci conoscono e ci richiamano, altre arrivano attraverso il passaparola. Andiamo anche nelle parrocchie perché qualche educatore o educatrice si interessa al tema e ci invita a parlare con i ragazzi.
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