Cosa c'è (e soprattutto cosa non c'è) per la scuola nella bozza della Manovra 2026?

Ottobre 24, 2025 - 02:30
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Cosa c'è (e soprattutto cosa non c'è) per la scuola nella bozza della Manovra 2026?

lentepubblica.it

Scuola e ricerca escluse dalla Manovra 2026, la FLC CGIL accusa il Governo di dimenticare il mondo dell’istruzione: ecco pertanto cosa troviamo nella bozza di testo e (soprattutto) cosa non è presente.


Nella bozza della Legge di bilancio 2026 il mondo della scuola, dell’università, della ricerca e dell’alta formazione artistica e musicale (Afam) resta ai margini delle scelte economiche del Governo. A denunciarlo è la FLC CGIL, la Federazione dei Lavoratori della Conoscenza, che parla di un’ennesima occasione mancata per riconoscere il valore del lavoro nel settore pubblico dell’istruzione. Nessun aumento salariale, nessuna misura strutturale per contrastare la perdita di potere d’acquisto e nessun segnale di attenzione verso il precariato che continua a caratterizzare il sistema formativo e scientifico italiano.

Secondo il sindacato, dalle prime anticipazioni della Manovra non emerge alcuna voce dedicata al rinnovo contrattuale del comparto “Istruzione e Ricerca”. Si tratterebbe, dunque, di un copione già visto: le dichiarazioni d’intenti sul rilancio del settore educativo si scontrano con la mancanza di risorse concrete, mentre la politica economica sembra ancora una volta favorire il lavoro privato a scapito del pubblico.

Nessun aumento per docenti, ricercatori e personale Afam

Dalle misure illustrate finora dal Governo — spiega la FLC CGIL — risultano esclusi oltre tre milioni di lavoratori pubblici, tra cui docenti, ricercatori, personale amministrativo e tecnico. Gli interventi previsti, come il regime fiscale agevolato sui rinnovi contrattuali, la tassazione ridotta al 10% per straordinari e turni festivi o notturni, e i premi di produttività, riguarderebbero esclusivamente il settore privato.

L’unica iniziativa che, in teoria, potrebbe toccare anche il pubblico impiego è la detassazione del salario accessorio, ma il sindacato ne sottolinea l’impatto marginale. “Per chi lavora nella scuola o nella ricerca, il salario accessorio pesa pochissimo sulla busta paga”, spiegano dalla FLC. “Si tratta di un beneficio simbolico, che non risolve in alcun modo la questione salariale né colma il divario con gli altri comparti del pubblico impiego”.

Salari fermi e contrattazione in stallo

La Federazione dei Lavoratori della Conoscenza accusa l’esecutivo di ignorare l’emergenza retributiva che colpisce il personale dell’istruzione, le cui buste paga risultano tra le più basse del pubblico impiego. A questo si aggiunge la lentezza delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale 2022-2024, che non sembra destinato a ricevere ulteriori fondi nella prossima Legge di bilancio.

Se anche le nuove misure fiscali venissero estese al settore pubblico, non cambierebbero la sostanza”, denuncia il sindacato. “Le risorse stanziate non sono sufficienti a recuperare la perdita del potere d’acquisto accumulata negli ultimi anni. È questa la principale ragione per cui i negoziati con l’Aran procedono a rilento e faticano a produrre risultati concreti”.

L’atteggiamento del Governo riflette una precisa scelta politica: “Si continua a dividere il mondo del lavoro, intervenendo in modo frammentario e privilegiando alcune categorie a scapito di altre”. Una strategia, sostiene il sindacato, che rischia di accentuare la distanza tra chi opera nei settori produttivi privati e chi lavora nei servizi pubblici essenziali, come la scuola e la ricerca.

Il nodo del precariato e la perdita di potere d’acquisto

Un altro tema ignorato dalla Manovra è quello della stabilizzazione dei precari. Migliaia di insegnanti, ricercatori e tecnici continuano a lavorare con contratti a termine, in un sistema che fa largo uso di supplenze e incarichi temporanei. “Non si può parlare di innovazione e qualità nella formazione se si mantiene il personale in una condizione di precarietà cronica”, afferma la Federazione.

La perdita di potere d’acquisto rappresenta, inoltre, un’emergenza ormai strutturale. Nel triennio di riferimento, i lavoratori del comparto avrebbero perso circa due terzi della capacità di spesa reale a causa dell’inflazione e dell’assenza di adeguamenti salariali. “Chiedere ai lavoratori della conoscenza di accettare questa situazione significa ignorare il loro contributo al funzionamento del Paese”, denuncia il sindacato.

Una protesta che arriva nelle piazze

Di fronte a questa prospettiva, la mobilitazione è già in calendario. La CGIL ha annunciato per il 25 ottobre una manifestazione nazionale, a cui parteciperanno anche le lavoratrici e i lavoratori dell’istruzione e della ricerca, per protestare contro una politica economica giudicata “miope e ingiusta”.

L’obiettivo è quello di riportare l’attenzione sul ruolo strategico dell’istruzione pubblica e della ricerca, settori che dovrebbero essere considerati investimenti per il futuro e non voci di spesa da contenere. Si chiede un piano straordinario per valorizzare il lavoro intellettuale e tecnico, con risorse dedicate per i rinnovi contrattuali, percorsi di stabilizzazione e misure fiscali che non penalizzino il pubblico impiego.

Non vogliamo elemosine, ma rispetto per il nostro lavoro

Se la Manovra 2026 dovesse essere approvata in questa forma — conclude la federazione — ci troveremmo di fronte a un Governo che continua a comportarsi come un elemosiniere, distribuendo bonus temporanei anziché affrontare i nodi strutturali. Chi lavora nella scuola, nell’università e nella ricerca non chiede privilegi, ma un riconoscimento reale del proprio impegno”.

Il sindacato avverte che la protesta non si fermerà alla piazza, ma proseguirà con una campagna di sensibilizzazione nelle scuole e negli atenei, per informare l’opinione pubblica sugli effetti di una politica che rischia di impoverire ulteriormente un settore già fragile.

In assenza di correttivi, la Legge di bilancio 2026 si annuncia come un duro colpo per chi opera nel mondo della conoscenza. Una Manovra che ignora la centralità della formazione e della ricerca nello sviluppo economico e sociale del Paese, rinviando ancora una volta l’appuntamento con una vera valorizzazione del lavoro pubblico.

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