I nuovi prestiti subprime, e lo spettro della crisi del 2008

Dopo la dichiarazione di fallimento, pronunciata lo scorso settembre in base al Chapter 11, oggi il Tricolor Holdings, un importante venditore di auto nuove e usate con sede in Texas, è oggetto di un’indagine federale per frode.
Il buco finanziario è ancora da quantificare. Potrebbe essere di un miliardo o di dieci miliardi di dollari, se non di più. È una dimensione irritante, ma che potrebbe essere assorbita dal mercato. Il problema vero, quindi, è un altro. L’impresa texana ha concesso prestiti subprime a un numero impressionate di clienti. In altre parole, le auto vendute erano coperte da garanzie date da compratori non affidabili, cioè non in grado di pagare puntualmente le rate del prestito. Inoltre, ricerche preliminari rivelerebbero che circa trentamila prestiti concessi erano collegati a veicoli che garantivano anche altri debiti. E ancora, i prestiti subprime sono stati usati da Tricolor Holdings come garanzia per emettere delle obbligazioni. In generale le imprese venditrici di auto utilizzano i loro portafogli di prestiti auto come garanzia per ottenere finanziamenti a breve termine e avere la liquidità necessaria per il funzionamento quotidiano delle attività.
Essendo asset riconosciuti, i crediti concessi sono stati impacchettati in altri titoli, la famosa cartolarizzazione, che il sistema bancario e finanziario ha piazzato ai propri clienti in cerca di investimenti. Solo negli ultimi due anni Tricolor Holdings avrebbe ottenuto almeno due miliardi di dollari dalle banche che hanno comprato i suoi crediti subprime. Circa il quaranta per cento di tutti i crediti venduti alle banche era del tipo subprime. Si stima che il mercato automobilistico subprime valga ottanta miliardi di dollari. La stampa americana menziona la JP Morgan, la Fifth Third Bank e la Barclays tra le banche toccate dal fallimento.
L’impresa texana era nota per i prestiti alle comunità ispaniche a basso reddito. Si dice che spesso non chiedevano il numero della Social Security, l’iscrizione al servizio previdenziale che per molte operazioni burocratiche negli Stati Uniti ha la funzione di carta d’identità.
I prestiti subprime possono essere allettanti per le persone che, altrimenti non potrebbero ottenere un credito, ma hanno bisogno di un’auto per andare al lavoro. Possono, però, comportare gravi svantaggi, tra cui tassi d’interesse e altre commissioni elevati. In caso di ritardi nei pagamenti le sanzioni possono accumularsi rapidamente fino al pignoramento dell’auto. Si stima che per le macchine nuove il mutuo mensile costi intorno ai mille dollari. Ma anche il trenta per cento degli acquirenti di auto usate paga un mutuo mensile tra i seicento e i mille dollari.
Si tratta di una riedizione pressoché identica dei mutui subprime concessi nei primi anni del Duemila a persone che acquistavano immobili. Titoli poi comprati dalle banche che li spezzettavano per inserirli come capitale di base in altri titoli, i famosi asset-backed security (abs), poi piazzati sul mercato. La “giostra”, però, non si fermava. Era l’inizio di una catena di altri derivati finanziari sempre più speculativi, che in pancia avevano veri e propri “asset tossici”, titoli fasulli senza valore alcuno. Questo meccanismo, con la convivenza delle agenzie di rating, aveva contribuito enormemente alla crisi finanziaria globale del 2008.
Secondo la Federal Reserve, il settore dei crediti auto, equivalente a 1.700 miliardi di dollari, è un ottavo rispetto al mercato dei mutui immobiliari. Il sedici per cento dei crediti auto sono subprime. Quelli chiamati deep subprime ad alto rischio, come per il Tricolor Holdings, rappresentano il due per cento del mercato dei crediti auto.
Dopo il disastro del 2008, com’è possibile che la bolla dei subprime sia ritornata a galla? Dove sono stati i controllori? Cosa hanno fatto? Se la frode fosse confermata, potrebbe minare la fiducia degli investitori nei titoli garantiti da prestiti auto, un mercato che ha contribuito ad alimentare l’aumento dei prestiti subprime per oltre un decennio.
La vera preoccupazione è il contagio, anche extra Stati Uniti. Se il debito subprime delle auto può crescere e poi crollare così rapidamente, potrebbe essere solo questione di tempo prima che i default si estendano ad altri e più fragili settori del credito al consumo.
Gli ammonimenti di una nuova crisi finanziaria si moltiplicano. Per esempio, all’inizio di ottobre anche l’Economist di Londra ha parlato di «pericolosità dei mercati», sia per i fallimenti nel settore servizi auto americano sia per un possibile scoppio della bolla dell’intelligenza artificiale, simile a quello che avvenne nell’ultimo decennio del secolo scorso con la “bolla dot.com” delle telecomunicazioni. Ci si augura di no.
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